BASKET
«Ve la do io l’America!» Ferri racconta l’Ncaa
L’osservatore pescarese: «Sarà più difficile prendere americani bravi perché la seconda lega ha innalzato il minimo salariale per i giocatori»
ROSETO. Christian Ferri è un pescarese ex cestista che ha avuto ruoli dirigenziali in Italia, ma che ha da sempre il pallino per il basket a stelle e strisce, dove ha iniziato con l’esperienza Nba dei Toronto Raptors per poi concentrarsi sul basket universitario, dove ha vinto un anello Ncaa a Kent State, collaborando poi con St. John's, e ultima Arizona State. Reduce dalla “March Madness”, la fase finale del torneo Ncaa dove ha lavorato per l’organizzazione, Ferri ha le carte in regola per ragionare sul tipo di giocatori che potranno arrivare dagli Usa: Roseto è a caccia, e forse anche Chieti potrebbe rientrare in gioco, potenziale prima in diritto per un eventuale ripescaggio. «Sarà più difficile poiché la seconda lega americana, la G-League (ex D-League), ha innalzato il trattamento economico riconosciuto ai giocatori. In pratica si potranno firmare i giovani talenti a minimi salariali ben più importanti che in passato: adesso siamo sopra ai 50 mila dollari, quasi il doppio rispetto all’anno scorso. Questo sarà penalizzante per le europee, soprattutto per quelle di non primissima fascia, rendendo più problematica la ricerca di un rookie di buone speranze, come han saputo fare gli Sharks con Smith e Allen, capocannonieri degli ultimi campionati». Ora questi giocatori saranno invogliati a rimanere a casa loro: «E non solo per una questione di soldi, perché chi riuscirà a firmare in G-League avrà una visibilità garantita, per non parlare della possibilità di assaggiare l’Nba a stagione in corso». Mettendola così si può pensare che prendere un buon americano potrà costare molto salato: «E’ probabile che chiedano ingaggi più alti, ne risentirà la qualità media». Esistono contromosse? «In A2 ci sono le squadre che partono per vincere che hanno budget importanti e potranno meglio ammortizzare questa botta; le altre invece, che hanno numeri più piccoli saranno chiamate a fare uno sforzo extra: o nel portafogli, oppure cercando meglio nel sotterraneo, senza guardare solo alle liste che propongono i vari procuratori. Chi si attrezzerà meglio a livello di scouting, potrebbe risparmiare soldi e trovare il tesoro nascosto». Il canale aperto con le università americane funziona però anche all’inverso: di pochi giorni fa la notizia che Davide Moretti, figlio di Paolo e mezzo rosetano visto che qui ha iniziato a giocare a basket, quest’anno lascerà Treviso per andare a Texas Tech: «Con lui siamo andati ad un passo dal portarlo ad Arizona State, ma poi il mio college ha dovuto virare su un altro ruolo. Andare a studiare e giocare a basket in America è un’esperienza importante dal punto di vista sportivo ma anche formativo».
Marco Rapone
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
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