PESCARA
Zeman: io, il fazzoletto rosso e il mondo confuso
L'allenatore biancazzurro festeggia 70 anni: «Da Praga a Pescara, dal comunismo al calcio»
PESCARA. Buon compleanno Zeman! Oggi l’allenatore del Pescara compie 70 anni. Un traguardo importante per un uomo di sport che è riuscito a conquistare gli amanti del calcio per lo spettacolo offerto dalle sue squadre e per la sua indiscutibile integrità morale.
Zeman, cosa si prova a spegnere la 70ª candelina?
«È un traguardo, non so quanto sia importante. Comunque, non me li sento ed è questo l’aspetto positivo. Starò con la mia famiglia. Mi auguro di festeggiare anche l’80° compleanno, però non si sa mai».
Settant’anni, dei quali quasi 40 trascorsi in panchina. Si sente cambiato?
«Ho imparato tanto. All’inizio avevo solo voglia ed entusiasmo che anche oggi ho, altrimenti non continuerei a lavorare sui campo di calcio».
Come è stata la sua infanzia?
«C’era il comunismo e in generale a Praga non eravamo felici e tranquilli, anche se io ho passato la mia adolescenza praticando vari sport, perciò non ho avvertito forti disagi. Più che altro a scuola avevamo un po’ di problemi: ad esempio era obbligatorio mettersi il fazzoletto rosso al collo. Per il resto ho bei ricordi della gioventù. La vita spensierata, i luoghi e la mia famiglia».
Lei lasciò la sua città nel periodo della “Primavera di Praga” che poi fu caratterizzata dal gesto estremo di Jan Palach.
«Purtroppo Palach decise di pagare con la vita la sua protesta. La gente si strinse attorno alla sua figura, ma non bastò per cambiare le cose».
Quella attuale è una società migliore?
«Si vive meglio, però c’è una grande confusione. È un mondo dispersivo che ha risvolti negativi e positivi, mentre allora in Cecoslovacchia i comunisti gestivano tutti gli aspetti della vita».
Nel 1969 l’arrivo a Palermo. Come fu l’impatto?
«Il distacco dalle mie radici non fu traumatico. Prima di lasciare definitivamente il mio Paese ero già venuto tre volte in Italia per due mesi in estate. Quando presi la decisione avevo già valutato il cambiamento, non fu una scelta improvvisata».
Oggi l’arrivo dei migranti incute timore. Cosa ne pensa?
«Anche noi italiani andammo negli Stati Uniti, in Germania e in altri Paesi per cercare un futuro migliore. Il problema non è l’immigrazione, ma la mancanza di opportunità. Bisogna inventarsi nuovi lavori, perché purtroppo la tecnologia ha sostituito in larga parte gli uomini. Ci sono le macchine e serve meno gente per lavorare. Ecco perché bisogna individuare nuove professioni: senza lavoro non si può vivere».
In Sicilia ha anche conosciuto la donna della sua vita.
«Si, ci siamo incontrati grazie allo sport. Ero istruttore di nuoto e Chiara frequentava il corso. Sperava di imparare a nuotare bene, ma non ci è riuscita (ride, ndr)».
Oltre all’affetto cosa le ha dato sua moglie?
«Mi ha aiutato a risolvere i problemi della vita e devo dire che ha svolto molto bene il suo compito. Siamo riusciti a superare insieme tutti i momenti difficili. Direi che la nostra famiglia è stata sempre unita».
Oggi, invece, le coppie non durano...
«Il mio non è un matrimonio in crisi. In generale, negli ultimi anni l’istituzione famiglia ha perso importanza. Anche nel calcio c’è meno rispetto verso questo valore. Ad esempio, non è giusto far giocare le partite a Natale, che è l’unica festa da trascorrere con i parenti. Credo ancora molto nella famiglia. Ho due figli, uno lavora a Reggio Calabria (Karel, tecnico della Reggina, ndr) l’altro (Andrea) vive a Pisa e per vederci bisogna aspettare le festività».
Qual è il suo rapporto con la religione?
«Sono cattolico, sono stato educato così, anche se in maniera clandestina perché era proibito in Cecoslovacchia. Ogni tanto vado in chiesa, non per cercare aiuto, bensì per ragionare sulla vita e sui rapporti».
Ora si uccide in nome di Dio.
«Le crociate sono fatte così. Per essere una brava persona basta rispettare i dieci comandamenti».
Ce l’ha un sogno nel cassetto?
«Godere di buona salute, sia io che i miei cari».
I giovani calciatori sognano?
«Beh, non so. Quando eravamo bambini guardavamo come si stoppa o si calcia un pallone, ora pensano alla fidanzata e alla macchina».
Che rapporto ha con i social network?
«Non li uso per non essere prigioniero. I messaggi non sono sempre positivi».
Chiudiamo con una promessa ai tifosi del Pescara che sono molto delusi.
«Spero che tornino a divertirsi e ad apprezzare un calcio propositivo. Bisogna lavorare duramente, ma farò di tutto per raggiungere l’obiettivo».
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