TERAMO
A 72 anni si ribella al marito-padrone
La Procura chiede il processo per un uomo accusato di maltrattamenti alla moglie. Lei: «È stata una vita d’inferno»
TERAMO. Ci sono casi, in questi tempi infiniti da Codice Rosso che nemmeno la pandemia ferma, che raccontano storie di maltrattamenti reiterati nel tempo e diventati drammaticamente abituali.
L’ultimo è quello che si srotola nell’ennesimo fascicolo della Procura che ha chiesto il processo per un uomo teramano di 72 anni accusato dalla moglie coetanea di averla vessata per decenni con maltrattamenti psicologici e fisici. «Ho sopportato per i figli», ha raccontato l’anziana, «ma adesso che sono tutti grandi e sistemati io non voglio più vivere con questa paura addosso». Parole affilate nella denuncia che la donna ha ripetuto anche quando è stata sentita in Procura.
E gli accertamenti delegati, certosini e scrupolosi come lo sono sempre in questi casi, hanno ricostruito l’inferno: anni di soprusi sia fisici che psicologici, con scenate continue, con il divieto di frequentare amiche e familiari, di uscire da sola. «Quando facevo come diceva lui andava tutto bene», ha scritto ancora la donna, «ma quando non lo facevo erano guai. Anni di paura intervallati da momenti apparentemente sereni ma solo e sempre se facevo quello che voleva lui. Era come se la mia personalità fosse stata annientata». A 72 anni ha trovato il coraggio di raccontare e denunciare. E le sue parole, nel lessico giuridico, sono diventate atti d’accusa. Perché ormai da anni la Cassazione, anche con pronunciamenti a Sezioni unite, ha più volte stabilito che «lo stesso elemento psicologico del reato, cioè il dolo richiesto ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, non postula la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria idonea a ledere la personalità della persona offesa». E ancora, di recente, la Cassazione ha sancito, proprio in merito alla reiterazione nel tempo, che: «Il reato di maltrattamenti consiste in una condotta oppressiva, caratterizzata sotto il profilo soggettivo dalla volontà del soggetto agente di sottoporre il soggetto passivo a una serie di sofferenze fisiche e morali, che, sotto il profilo oggettivo, si prolungano e reiterano nel tempo. Tale condotta può ben comprendere momenti di pausa, dovuti a circostanze sia oggettive sia soggettive, che, per essere significative, ai fini della interruzione dell'azione criminosa, e quindi della configurabilità di distinte ipotesi di reato, richiedono che sia accertato un mutamento della volontà del soggetto agente, verificabile sulla base di un apprezzabile lasso temporale, sì far ritenere che, cessata l'intenzione antigiuridica, essa sia ripresa a seguito di una sua nuova volizione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ultimo è quello che si srotola nell’ennesimo fascicolo della Procura che ha chiesto il processo per un uomo teramano di 72 anni accusato dalla moglie coetanea di averla vessata per decenni con maltrattamenti psicologici e fisici. «Ho sopportato per i figli», ha raccontato l’anziana, «ma adesso che sono tutti grandi e sistemati io non voglio più vivere con questa paura addosso». Parole affilate nella denuncia che la donna ha ripetuto anche quando è stata sentita in Procura.
E gli accertamenti delegati, certosini e scrupolosi come lo sono sempre in questi casi, hanno ricostruito l’inferno: anni di soprusi sia fisici che psicologici, con scenate continue, con il divieto di frequentare amiche e familiari, di uscire da sola. «Quando facevo come diceva lui andava tutto bene», ha scritto ancora la donna, «ma quando non lo facevo erano guai. Anni di paura intervallati da momenti apparentemente sereni ma solo e sempre se facevo quello che voleva lui. Era come se la mia personalità fosse stata annientata». A 72 anni ha trovato il coraggio di raccontare e denunciare. E le sue parole, nel lessico giuridico, sono diventate atti d’accusa. Perché ormai da anni la Cassazione, anche con pronunciamenti a Sezioni unite, ha più volte stabilito che «lo stesso elemento psicologico del reato, cioè il dolo richiesto ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia, non postula la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria idonea a ledere la personalità della persona offesa». E ancora, di recente, la Cassazione ha sancito, proprio in merito alla reiterazione nel tempo, che: «Il reato di maltrattamenti consiste in una condotta oppressiva, caratterizzata sotto il profilo soggettivo dalla volontà del soggetto agente di sottoporre il soggetto passivo a una serie di sofferenze fisiche e morali, che, sotto il profilo oggettivo, si prolungano e reiterano nel tempo. Tale condotta può ben comprendere momenti di pausa, dovuti a circostanze sia oggettive sia soggettive, che, per essere significative, ai fini della interruzione dell'azione criminosa, e quindi della configurabilità di distinte ipotesi di reato, richiedono che sia accertato un mutamento della volontà del soggetto agente, verificabile sulla base di un apprezzabile lasso temporale, sì far ritenere che, cessata l'intenzione antigiuridica, essa sia ripresa a seguito di una sua nuova volizione».
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