A Teramo e provincia metà dei fallimenti d’Abruzzo

Studio del Cresa fotografa una crisi che non ha eguali in regione: nel 2015 le procedure sono state 182, il triplo del 2014

TERAMO. Saranno forse i dati inconfutabili del Cresa a far prendere coscienza che la provincia di Teramo sta vivendo una crisi nemmeno lontanamente paragonabile agli altri territori abruzzesi. Questo si augurano gli imprenditori, per nulla sorpresi del tristissimo primato assegnato dal Cresa: in Abruzzo – regione che ha avuto il terzo peggior risultato in Italia – Teramo è prima per numero di fallimenti nel 2015. E non di poco, rispetto alle altre: esprime più della metà delle nuove procedure fallimentari in Abruzzo.

Tra gennaio e dicembre 2015 le procedure fallimentari aperte dalle aziende abruzzesi sono state 328, contro le 269 del corrispondente periodo del 2014, registrando un incremento del 21,9%, notevole rispetto alla diminuzione del 4,9% segnata dall’Italia e che si configura come terzo peggior risultato tra le regioni italiane. Determinante nel risultato negativo è stato il pessimo dato teramano, rileva l’ elaborazione che il Cresa ha svolto sui dati Infocamere-Stockview.

«Con maggiore dettaglio territoriale l’incremento abruzzese è da collegare al risultato particolarmente preoccupante riscontrato dalla provincia di Teramo che esprime più della metà (55,5%) delle nuove procedure fallimentari regionali e ne ha visto quasi triplicare il numero. Le altre rappresentano quote molto inferiori e hanno registrato tutte diminuzioni consistenti tra le quali spicca quella aquilana (-63,3%)», si legge nella nota del Cresa.

A Teramo i fallimenti sono stati 182: fanno segnare un +189,4% rispetto ai 61 del 2014, quando tutto sommato si attestava nella media delle altre province abruzzesi. Ovviamente schizza alle stelle il tasso di fallimento, che se è dello 0,7 all’Aquila, dell’1,9 a Pescara e dell’1,2 a Chieti –tutte in linea con la media nazionale, anzi sotto – a Teramo è del 5,1. La tipologia dei fallimenti nel Teramano si discosta da quella abruzzese: a fallire non sono state tanto le società di capitali, ma soprattutto le piccole e piccolissime aziende. «Ritengo che si tratti soprattutto di società di persone, di piccoli artigiani, di imprese che operano nel commercio», analizza Nicola Di Giovannantonio, direttore di Confindustria, «l’altro picco c’è stato a fine 2013-inizi 2014, quando fallirono parecchie imprese storiche».

La seconda ondata, dunque riguarda la struttura portante del sistema economico teramano, le piccole imprese. Gloriano Lanciotti, direttore della Cna e vicepresidente della Camera di commercio, non è sorpreso. «I problemi che avevamo tre, due e un anno fa sono rimasti irrisolti», sottolinea, «in questa provincia se non si interviene in maniera pesante, con ingenti risorse, non si esce da questa profonda crisi. Invece da anni stiamo ancora aspettando risorse per l'area di crisi della Val Vibrata, per fare un esempio. Un altro? A settembre facemmo una riunione dell’osservatorio provinciale sull’economia ed elaborammo un interessante pacchetto di proposte: ancora non si vede niente. I soldi del Masterplan non sappiamo quando arriveranno. Purtroppo in Regione non hanno capito che la nostra situazione è diversa rispetto ad altre province: il tessuto è di piccole e piccolissime aziende che operano peraltro in settori che più hanno risentito della crisi, tipo il manifatturiero. L'ho già detto all'assessore Giovanni Lolli e lo ripeto: Teramo è un'area di crisi su cui va fatto progetto ad hoc. Dalle elezioni molte cose si sono fatte, ma su Teramo non ho visto arrivare risorse, non ci sono stati interventi strutturali».

Secondo Lanciotti, inoltre molti dei fallimenti a Teramo sono legati al problema del credito, cioè alla difficoltà ad avere finanziamenti dalle banche, tantopiù se un’impresa è in difficoltà.

«Non voglio fare il pessimista, ma su Teramo è indispensabile un tavolo con tutti gli attori per pensare a interventi di ampio respiro. E Luciano D'Alfonso e Lolli devono intervenire pesantemente. Altrimenti una ripresa rapida non è possibile», conclude Lanciotti.

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