Abruzzo coast to coast, i nostri cronisti in bici sulla pista che c’è e non c’è
Pedalata dalle Marche verso sud: la prima puntata. Il litorale ha scorci bellissimi, percorrerlo su due ruote è una grande emozione. Ma troppo spesso si finisce in mezzo ai camion e sul marciapiede
MARTINSICURO. Il Tir che sfreccia accanto sollevando una nuvola di polvere e fumo mi dà l’idea delle difficoltà e dei rischi che dovrò superare in questa prima punta del viaggio in bicicletta coast to coast in Abruzzo. Non da mare a mare, ma da nord a sud, con la mia Augustea modello 1970.
Il primo ponte. Sono a Martinsicuro e mi domando come sia stato possibile realizzare il nuovo ponte sul fiume Tronto – che segna il confine con la Marche – senza prevedere una corsia per le biciclette. Bastava farne una più larga dei passaggi pedonali (che invece sono stati realizzati come se qui passassero a piedi comitive di pendolari) e le due regioni sarebbero state unite in nome delle due ruote ecologiche sul fronte della Statale 16. Invece, per trovare la prima vera pista ciclabile devo spostarmi sulla riviera, pedalare fino alla rotonda sul mare attrezzata di fontanella e bagno chimico puzzolente e dove un giorno, si spera, sarà costruito un ponte di legno per San Benedetto del Tronto.
Verde scolorito. Affondo sui pedali e l’Augustea comincia a prendere aria, sotto un sole rovente e lungo il tracciato che costeggia la spiaggia. Vado liscio, la pista di colore verde scolorito è libera, piacevole. Penso che se continua così è uno spasso, tanto che arrivo a Villa Rosa senza accorgermene. Il tracciato “verdino” continua a guidarmi sul Lungomare Italia e fino all’incrocio con via Capri. E’ alla seconda rotonda con via Filzi che mi perdo : la pista finisce all’improvviso, l’area ciclabile non c’è più. Sono costretto a scendere sulla strada, fra le auto. Riesco a schivare lo sportello che apre di scatto un automobilista, mi accodo a un gruppo di ciclisti. La mia ancora di salvezza è di nuovo il marciapiede, ci salgo sopra e trovo di nuovo il “tappetino” verde scolorito. «Scusi, è questa la pista ciclabile?», domando a un anziano ansimante per il caldo e che riesce a farmi un cenno con la testa e un altro con la mano per dirmi “vai, vai giù da quella parte”. E io vado, proseguo verso sud.
Niente furti. Pedalo notando quante bici sono parcheggiate legate a ridosso di alberi, pali e recinzioni in legno. Un piccolo “disordine” presto spiegato: non esistono rastrelliere e quindi diventa d’obbligo assicurare in questo modo le due ruote. A meno che a Villa Rosa, località che vive di turismo, anche i ladri siano in vacanza. «Guardi», mi conferma Marta all’ombra nell’edicola vicino all’Hotel Galf, «l’altro giorno anch’io ho lasciato la bici fuori di casa tutta la notte. Furti qui per ora non ci sono stati, solo l’altro giorno hanno rubato una borsa sotto un ombrellone».
Il ponte di legno sul fiume Vibrata (oasi di protezione della caccia) mi spinge in discesa verso Alba Adriatica, cittadina che vive di turismo e che tiene ai suoi “clienti”. La pista si snoda accanto al marciapiede e poi sfila lungo la pineta che è una bellezza percorrerla. Una bella vigilessa (in servizio guardacaso anche lei sui pedali) mi spiega bene che la “pista” è una prerogativa richiesta dai turisti, un vincolo determinante per la scelta delle vacanze: «Qui arrivano molte famiglie con figli piccoli che chiedono espressamente delle possibilità di fare jogging e andare in bici. E Alba, che altrimenti avrebbe solo mare e spiaggia, non poteva che andare in questa direzione».
L’ex sindaco. Bisogna risalire agli anni ’70 per scoprire come Alba sia riuscita ad arrivare a presentare un’offerta così completa di vacanze-benessere. Si racconta che fu l’ex sindaco Lino Fracassi a prendere personalmente una ruspa e a tracciare, con la collaborazione della Forestale , il percorso della futura pista. Fu un’idea geniale, in chiave prospettica, di cui oggi Alba gode i benefici.
Anche Tortoreto convive da tempo con le biciclette, ma qui l”impatto” si vede di meno. Tortoreto è più grande e la strada riservata alle due ruote passa sull’asfalto grigio del marciapiede fra l’odore delle tamerici. Immagino, quando la sera c’è molto più movimento, quanti “incidenti” e incomprensioni possono avvenire. Il fondo cambia, al posto del triste asfalto arrivano i “mattoncini” del percorso che scorre tra spiaggia e villaggi turistici attorno al Salinello. Un percorso facile, almeno d’estate abbastanza curato ( mancano i cestini) che mi porta a Giulianova. L’ingresso è notevole: pineta e addetti alle pulizia della pista al lavoro. Ma mano a mano che entro in città, il piacere di andare in bici si affievolisce.
Dove vado? La pista svanisce, è sul marciapiede, l’asfalto è scivoloso, occorre fare attenzione ai pedoni e poi, arrivato al porto, devo fermarmi: la pista scompare. Riprende? E dove? Mi sorge il dubbio che continui nell’area portuale, quando vedo che altre bici imboccano lungomare Spalato facendosi largo nel traffico. Le seguo confidando sul fatto che la pista riprenda più in là . Avevo ragione, anche se il nuovo tracciato che va verso Cologna è piuttosto stretto e pericoloso.
La frana. Scopro anche che il percorso s’interrompe al fiume Tordino, area ex depuratore, perché dopo la frana di tre anni fa (causata da una piena) non è stato più ripristinato. «Era bello, dava la possibilità di vivere il fiume», ricorda un ispettore in vacanza (e in bici). Sono costretto a tornare indietro e a svoltare a sinistra sul marciapiede per poter riprendere il ponte ciclabile di legno che conduce a Cologna.
Il passaggio ricavato tra stabilimenti balneari e villaggi-camping fa da prologo a una tappa senza pista ciclabile. Strada, sì, ma non riservata. Con tutti i rischi che conseguono.
Stop a Cologna. Un cartello indica che sono a 37 km da Pescara. Anche il lungomare di Cologna s’interrompe contro un cartello . “Area demaniale” c’è scritto. Che faccio? Via Degli Acquaviva mi offre la possibilità di andare verso la ferrovia ma anche qui la successiva strada sterrata si ferma davanti a un canneto che precede l’area del Borsacchio. Potrei caricarmi la bici sulle spalle, ma la mia Augustea è pesante. No. Decido di ripiegare, affronto il traffico e i 3-4 km della Statale 16 che mi separano da Roseto.
Marciapiede stretto. Ho trascorso a Roseto la mia infanzia e la parte nord, malgrado le nuove costruzioni, è rimasta come la ricordo: uno stretto marciapiede dove devono convivere pedoni e bici. Diventa tutto più facile quando arrivo sul bel lungomare, il percorso però si complica di nuovo a sud. Come a Cologna, non esiste le pista ciclabile. Devo alzarmi sui pedali per avere la meglio del tratto sterrato e sassi dietro al porto turistico Vallonchini. Ci sono anche due randagi che mi fissano. Intorno c’è cattivo odore. Una serie di microdiscariche mi accompagna di nuovo verso la Statale 16 che affronto a malincuore e con fatica.
L’Oasi delle bici. Meno male che arriva Scerne di Pineto e l’indicazione dell’avvio della Ciclovia Adriatica mi conforta. C’è qualcosa da rivedere, ma qui la pista (2 km circa), vedendo anche il numero di ciclisti che la percorrono, funziona. Ecco una vera ciclovia , ecco l’Abruzzo turistico delle due ruote. E che bello incrociare donne e bambini a passeggio. E’ il rumore dei treni che mi dice che sono arrivato all’ingresso di Pineto, un’altra oasi dei cicloturisti. Con un valore aggiunto: la natura “viva” che offre la costa del Cerrano – che dà il nome alla premiata Riserva naturale – dominata dall’imponente Torre. Devo fare attenzione attenzione a non rimanere insabbiato, per il resto la mia Augustea sembra sorridere nonostante l’età.
Peccato che a Silvi il “sogno” s’infrange. La bella pista svanisce a vantaggio delle case costruite nel tempo direttamente sul mare.
Ponti scempio. Mi preparo all’ultimo sforzo: i ponti del Piomba e sul Saline. Sono di nuovo ingolfato nel traffico della Statale: le ennesime occasioni mancate dell’Abruzzo. Pescara è vicina. La tappa è quasi conclusa. Manca Montesilvano che con la bici , bene o male, si è attrezzata lungo la riviera.
In piazza Mediterraneo,alla fontana di Cascella, arrivo dopo una bella passeggiata di 8 ore e mezza. Si può fare, ma c’è ancora tanto da migliorare.
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