Accusato di terrorismo, chiesti 7 anni 

Imputato il giovane egiziano arrestato a Colonnella. Il pm: «Era un lupo solitario pronto all’azione, va condannato»

TERAMO. «Un lupo solitario dell’Isis pronto a fare quello per cui tutti noi poi avremmo pianto. Ma avremmo pianto lacrime di coccodrillo perché bisogna intervenire prima»: il sostituto procuratore David Mancini mette insieme pronunciamenti della Cassazione e intercettazioni per scoprire parole. Che sono quelle di una requisitoria scandita da così tante certezze che il pm della Procura distrettuale chiede una condanna a sette anni e due mesi per Issam Elsayed Aboulelayem Shalabi, il 23enne egiziano a processo con l’accusa di essere un soldato dell’Isis, un lupo solitario così pericoloso che per mesi, a cominciare dalla sua permanenza a Colonnella, è stato tenuto sotto controllo 24 ore su 24 per intervenire in caso decidesse di passare all’azione.
In poco più di un’ora («Ritengo sia inutile e prolisso ripetere quello che è emerso da una istruttoria accurata ed esplicita»), Mancini con ritmo incalzante ricostruisce i delicati passaggi di un’inchiesta che, sostiene, avrebbe fatto emergere l'alto grado di radicalizzazione religiosa, l'attività di proselitismo del 23enne e la sua presunta appartenenza a gruppi Telegram riconducibili a una delle agenzie di propaganda dello Stato islamico. «Perché svestiamoci del pregiudizio che a Teramo queste cose non possono succedere, come nel caso della porta rubata del Bataclan e ritrovata sempre nella provincia teramana», dice Mancini, «siamo una periferia del mondo e in una società globalizzata tutto è possibile ovunque». Shalabi è imputato di associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere. Il nome del 23enne, che durante la sua permanenza a Colonnella aveva lavorato per una ditta di pulizie che aveva l’appalto per McDonald’s, era finito nei controlli della polizia nel dicembre del 2017 quando la sua presenza era stata segnalata tra i militanti islamici frequentatori di un gruppo Whatsapp. Secondo investigatori ed inquirenti Shalabi, arrivato in Italia sette anni prima per un ricongiungimento familiare con il padre, sarebbe diventato il leader di un gruppo di tre giovanissimi profondamente radicalizzati che all’epoca vivevano a Colonnella. Dopo l’Abruzzo si era spostato a Cuneo e infine a Milano. Nella requisitoria Mancini tira i fili di una complessa e dettagliata indagine il cui cuore è stato l’aspetto telematico, ovvero tutto quello che attraverso il trojan gli accertamenti di Digos e polizia postale hanno messo insieme tra intercettazioni, pedinamenti e messaggistica di vario genere. «L’attività di intercettazione attraverso il trojan si è rivelata vincente», spiega il pm, «perchè ha consentito di monitorare l’uomo costantemente, soprattutto attraverso la messaggistica criptata. Shalabi stava 24 ore su 24 a tenere sermoni di guerra inneggianti al martirio. Aveva dato la sua disponibilità ad entrare in azione e ripeteva di stare aspettando il suo turno. E forse proprio per questo negli ultimi tempi stava facendo di tutto per poter andare in Francia. Non serve trovare il combattente con l’arma in mano, serve qualcosa che avviene prima. Un reato di pericolo astratto così come, in materia di terrorismo, hanno più volte sancito la Cassazione e la Corte europea».
Di diverso avviso il difensore dell’uomo, l’avvocato Umberto Gramenzi. Nella sua arringa ha più volte sottolineato come « ci si trovi davanti all’ideologia di una ragazzo di 20 anni che non sa neanche lui cosa vuole» evidenziando «l’assenza di un profilo di materialità». Il legale ha concluso chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste o, in subordine, una riqualificazione giuridica del reato. La corte d’assise presieduta da Domenico Canosa (a latere Morena Susi) tornerà a riunirsi a fine ottobre per la sentenza.
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