Crac Di Mario, la Tercas chiede 23 milioni

Udienza decisiva per i debiti dell'immobiliarista travolto da un fallimento da record

TERAMO. Per un crac romano di 800 milioni la Tercas chiede indietro una fortuna: 23 milioni prestati all'imprenditore Raffaele Di Mario. Il 13 aprile a Roma ci sarà l'udienza clou per la ricognizione dei debiti di Di Mario, considerato il più grande bancarottiere italiano degli ultimi anni. E fra le trenta banche che gli hanno dato credito è spuntata, un anno fa, anche la Cassa di Risparmio di Teramo. Per questa vicenda l'ex direttore generale Tercas, Antonio Di Matteo, è stato sentito dalla Guardia di Finanza di Giulianova come teste.

Le banche non sono solo parti offese (come nel caso di Tercas) ma, da una settimana, sono anche coinvolte penalmente. La procura di Roma ha inviato 5 avvisi di garanzia a vertici di istituti di credito ipotizzando la bancarotta preferenziale. In parole semplici: pressioni da istituti di credito sull'imprenditore fallito per farsi restituire mutui milionari. L'indagato del crac romano avrebbe quindi distratto fondi del fallimento destinati a creditori privilegiati per soddisfare le banche. Ma la via legale per ottenere indietro i prestiti d'oro era un'altra. Il 14 marzo scorso, infatti, al tribunale fallimentare della capitale è scaduto il termine per le domande di insinuazione al passivo della Dima Costruzioni, la principale società del crac che ha evitato il fallimento in limine litis grazie all'intervento dell'ex ministro dello Sviluppo, Paolo Romani. La Dima ottiene l'amministrazione straordinaria, sotto il controllo del professor Andrea Gemma, ex collega universitario di Angelino Alfano.

E il 13 aprile ci sarà l'udienza per l'accertamento dello stato passivo alla quale partecipa anche Tercas. Ma il buco del gruppo che fa capo a Di Mario si avvicina sempre di più al miliardo di euro. E tra le parti esposte, banche e societa di leasing, spiccano Unicredit (100 milioni di euro), Italease, Bnl e Tercas. L'istituto di credito teramano, principale polo bancario abruzzese, è coinvolto come soggetto terzo finanziatore di mutui, attraverso la filiale romana, all'immobiliarista Di Mario, un carpentiere di Isernia che arriva a possedere una galassia di società, immobili e una squadra di calcio. E che da re del mattone fa parlare di sè a Roma quando il gruppo Dimafin acquista, per 34 milioni, Palazzo Sturzo, all'Eur, che per 40 anni è stato la sede della Democrazia Cristiana.

Ma alla fine di marzo del 2011, Di Mario finisce agli arresti. Le Fiamme Gialle gli sequestrano beni immobili a Pomezia, dove possiede, tra l'altro, il polo alberghiero Hotel Selene. E acquisiscono documenti anche in Tercas. Tutto parte dalla vendita per 108 milioni di euro a Banca Italease del centro commerciale Dima Shopping Bufalotta, nella periferia nord-est di Roma, della società Niccodemi, riconducibile alla Dimafin. Secondo il pm la Niccodemi non avrebbe pagato imposte per 26,6 milioni sulle plusvalenze ottenute dalla vendita e, in seguito, sarebbe stata svuotata del capitale e portata al fallimento pilotato con distrazioni per complessivi 52,5 milioni, in favore della società Primula collegata alla Dimafin di Di Mario. Ma il crac travolge con effetto domino Dimafin, Dima Costruzioni e altre 8 società. Si parla di un buco di 800 milioni. La Tercas ne rivuole 23.

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