Crac Di Pietro, Curti resta in cella: è il sesto no alla libertà
Teramo, la bancarotta da 15 milioni di euro. Il giudice: la sua autoaccusa è solo una strategia per tornare in libertà, non si è pentito realmente
TERAMO. E' il sesto no alla scarcerazione di Curti in 94 giorni. Forse il più pesante. Per il gip l'imprenditore deve restare in cella perchè la sua confessione - quella in cui si è autoaccusato della gestione delle società del crac - è stata solo una strategia per tornare in libertà. Il giudice Marina Tommolini non usa giri di parole per motivare il provvedimento con cui respinge l'istanza degli avvocati Guglielmo Marconi e Luca Gentile, i nuovi difensori di Guido Curti. Secondo il magistrato, oltre a permanere le gravi esigenze cautelari, Curti non si sarebbe pentito realmente, ma avrebbe solo cambiato strategia con l'unico obiettivo di ottenere la libertà.
La nuova istanza di scarcerazione è stata presentata dopo circa dieci giorni dal secondo interrogatorio dell'imprenditore che, su sua richiesta, è stato risentito in carcere dal pm Irene Scordamaglia. In quel contesto, a differenza di quanto detto nel primo interrogatorio, Curti si era autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo ogni coinvolgimento del commercialista Carmine Tancredi, che non è indagato. Un dietro front che per la procura, ma evidentemente anche per il gip, non ha modificato il quadro indiziario messo insieme in vari mesi di indagini.
Curti - arrestato il 27 gennaio- resta in carcere insieme a Maurizio Di Pietro. I due sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al sequestro delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio, il commercialista Carmine Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei beni e fatti rintrare in Italia dopo un giro su vari conti esteri. Le quote di queste due società sono state sequestrate su disposizione del gip Tommolini. Nessun commento al nuovo no dall'avvocato Marconi, che non esclude un eventuale ricorso. Evidentemente, però, non prima del pronunciamento della Cassazione. Venerdì, infatti, i giudici della Suprema Corte esamineranno il ricorso presentato dalla difesa degli arrestati.
E' ipotizzabile che nei prossimi giorni, quindi dopo la Cassazione, la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) possa chiudere l'inchiesta della bancarotta con una richiesta di giudizio immediato per i sette indagati. Chiusa questa indagine, però, i pm sono decisi ad aprire altri stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse durante le indagini. Indagini durante le quali il pm ha sentito personalmente sia gli indagati e sia le numerose persone informate sui fatti.
La nuova istanza di scarcerazione è stata presentata dopo circa dieci giorni dal secondo interrogatorio dell'imprenditore che, su sua richiesta, è stato risentito in carcere dal pm Irene Scordamaglia. In quel contesto, a differenza di quanto detto nel primo interrogatorio, Curti si era autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo ogni coinvolgimento del commercialista Carmine Tancredi, che non è indagato. Un dietro front che per la procura, ma evidentemente anche per il gip, non ha modificato il quadro indiziario messo insieme in vari mesi di indagini.
Curti - arrestato il 27 gennaio- resta in carcere insieme a Maurizio Di Pietro. I due sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al sequestro delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio, il commercialista Carmine Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei beni e fatti rintrare in Italia dopo un giro su vari conti esteri. Le quote di queste due società sono state sequestrate su disposizione del gip Tommolini. Nessun commento al nuovo no dall'avvocato Marconi, che non esclude un eventuale ricorso. Evidentemente, però, non prima del pronunciamento della Cassazione. Venerdì, infatti, i giudici della Suprema Corte esamineranno il ricorso presentato dalla difesa degli arrestati.
E' ipotizzabile che nei prossimi giorni, quindi dopo la Cassazione, la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) possa chiudere l'inchiesta della bancarotta con una richiesta di giudizio immediato per i sette indagati. Chiusa questa indagine, però, i pm sono decisi ad aprire altri stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse durante le indagini. Indagini durante le quali il pm ha sentito personalmente sia gli indagati e sia le numerose persone informate sui fatti.
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