Crac Di Pietro, il magistrato: Curti deve restare in cella
Parere negativo alla libertà per l'imprenditore, attesa per oggi la decisione del gip
TERAMO. La procura dice ancora no alla scarcerazione di Guido Curti. Il pm Irene Scordamaglia mette nero su bianco un altro parere contrario che, nei fatti, sostanzia una realtà ben precisa: l'interrogatorio bis dell'imprenditore, quello in cui Curti si è autoaccusato della gestione delle società del crac, non avrebbe modificato il canovaccio indiziario. Secondo il magistrato, dunque, Curti deve restare in carcere. Per il codice il parere del pm non è vincolante.
Ora sarà il gip Marina Tommolini a decidere: il provvedimento è atteso per le prossime ore, forse già oggi. Giovedì mattina l'istanza è stata presentata dagli avvocati Gugliemo Marconi e Luca Gentile (nuovi difensori di Curti) per chiedere la scarcerazione dell'imprenditore arrestato il 27 gennaio con la moglie Loredana Cacciatore e i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro. La donna, prima ai domiciliari e poi con un obbligo di dimora, è tornata in libertà dopo che il tribunale del Riesame dell'Aquila ha annullato l'ordinanza e Nicolino Di Pietro è ai domiciliari. In carcere restano Curti e Maurizio Di Pietro. Per Curti è la quarta richiesta di scarcerazione presentata al gip (tutte respinte), la sesta con i ricorsi al tribunale del Riesame e ai giudici d'Appello (anche in questo caso entrambi rigettati).
Curti e Di Pietro sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al se questro delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio Carmine Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei beni e fatti rintrare in Italia dopo un giro su conti esteri. Le quote di queste due società sono state sequestrate su disposizione del gip Tommolini. La nuova richiesta di scarcerazione per Curti è stata presentata dopo circa dieci giorni dal secondo interrogatorio dell'imprenditore che, su sua richiesta, è stato risentito in carcere dal pm Scordamaglia. In quel contesto, a differenza di quanto detto in un primo interrogatorio, si è autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo un coinvolgimento del commercialista Tancredi che non è indagato. Un dietro front che, per la procura, non ha modificato il quadro indiziario messo insieme dopo vari mesi di indagini.
Indagini durante le quali lo stesso pm ha sentito personalmente sia gli altri indagati e sia numerose persone informate sui fatti. E' ipotizzabile che la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) possa chiudere l'inchiesta sulla bancarotta entro breve, forse con una richiesta di giudizio immediato per i quattro arrestati.
Prima di farlo, però, si attende il pronunciamento della Cassazione che il 4 maggio esaminerà il ricorso presentato dalla difesa degli arrestati. Chiusa questa indagine, però, i pm sono decisi ad aprire stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse in quattro mesi di indagine serrate. Questo anche in previsione dell'esito dell'altra rogatoria chiesta al Regno Unito. Quella arrivata dalla Svizzera ha chiarito che i conti di Lugano erano solo di Curti e Di Pietro e che non ci sono stati movimenti di denaro riconducibili ad altre persone.
Ora sarà il gip Marina Tommolini a decidere: il provvedimento è atteso per le prossime ore, forse già oggi. Giovedì mattina l'istanza è stata presentata dagli avvocati Gugliemo Marconi e Luca Gentile (nuovi difensori di Curti) per chiedere la scarcerazione dell'imprenditore arrestato il 27 gennaio con la moglie Loredana Cacciatore e i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro. La donna, prima ai domiciliari e poi con un obbligo di dimora, è tornata in libertà dopo che il tribunale del Riesame dell'Aquila ha annullato l'ordinanza e Nicolino Di Pietro è ai domiciliari. In carcere restano Curti e Maurizio Di Pietro. Per Curti è la quarta richiesta di scarcerazione presentata al gip (tutte respinte), la sesta con i ricorsi al tribunale del Riesame e ai giudici d'Appello (anche in questo caso entrambi rigettati).
Curti e Di Pietro sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al se questro delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio Carmine Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei beni e fatti rintrare in Italia dopo un giro su conti esteri. Le quote di queste due società sono state sequestrate su disposizione del gip Tommolini. La nuova richiesta di scarcerazione per Curti è stata presentata dopo circa dieci giorni dal secondo interrogatorio dell'imprenditore che, su sua richiesta, è stato risentito in carcere dal pm Scordamaglia. In quel contesto, a differenza di quanto detto in un primo interrogatorio, si è autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo un coinvolgimento del commercialista Tancredi che non è indagato. Un dietro front che, per la procura, non ha modificato il quadro indiziario messo insieme dopo vari mesi di indagini.
Indagini durante le quali lo stesso pm ha sentito personalmente sia gli altri indagati e sia numerose persone informate sui fatti. E' ipotizzabile che la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) possa chiudere l'inchiesta sulla bancarotta entro breve, forse con una richiesta di giudizio immediato per i quattro arrestati.
Prima di farlo, però, si attende il pronunciamento della Cassazione che il 4 maggio esaminerà il ricorso presentato dalla difesa degli arrestati. Chiusa questa indagine, però, i pm sono decisi ad aprire stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse in quattro mesi di indagine serrate. Questo anche in previsione dell'esito dell'altra rogatoria chiesta al Regno Unito. Quella arrivata dalla Svizzera ha chiarito che i conti di Lugano erano solo di Curti e Di Pietro e che non ci sono stati movimenti di denaro riconducibili ad altre persone.
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