Crac Di Pietro, novità nell'inchiesta
Il pm prima di chiuderla vuole risentire i due imprenditori agli arresti
TERAMO. L'inchiesta sul crac Di Pietro sta per chiudersi. Ma prima di scrivere la parola fine su un fascicolo sfaccettato come un prisma, il pm Irene Scordamaglia sentirà ancora Guido Curti e Maurizio Di Pietro, da poco agli arresti domiciliari per motivi di salute: per Curti è la terza volta, per Di Pietro la seconda. E' evidente che si tratti di una decisione maturata sulla base di novità emerse nel corso delle indagini: accertamenti a 360 gradi proseguiti anche dopo gli arresti e soprattutto anche dopo i precedenti interrogatori. Si tratta di verifiche e controlli serrati che il magistrato ha delegato alla Finanza per ricostruire tutti i passaggi della bancarotta da 15 milioni di euro, a cominciare da quello legato ai fallimenti pilotati delle società svuotate di ogni loro contenuto.
Non è escluso, ma per ora si tratta di una ipotesi, che il pm possa rivedere i capi d'imputazione proprio sulla base delle novità emerse nel corso delle successive indagini. Forse integrandoli con nuove accuse. Curti è già stato sentito due volte (la seconda su sua richiesta): nel secondo interrogatorio, a differenza di quanto detto nel primo, l'imprenditore si era autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo ogni coinvolgimento del commercialista Carmine Tancredi che non è indagato.
Un dietro front che per la procura, ma anche per il gip che aveva respinto la richiesta di scarcerazione fatta dai legali dopo l'audizione, non aveva modificato il quadro indiziario messo insieme nel corso delle indagini. Curti e Di Pietro sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al sequestro (disposto dal giudice Marina Tommolini) delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio, il commercialista Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei loro beni e fatte rientrare in Italia dopo un giro su vari conti esteri.
Curti e Di Pietro dalla settimana scorsa sono ai domiciliari. Li ha concessi il gip Tommolini dopo che i suoi consulenti medici hanno accertato che i due sono «particolarmente depressi». La decisione del giudice, che nel provvedimento ha però ribadito che «le esigenze cautelari connesse al pericolo di recidiva sono pur sempre persistenti», ha portato i difensori di Curti (Gugliemo Marconi e Luca Gentile) a rinunciare all'Appello presentato dopo il settimo no alla scarcerazione dei due arrestati. Nei giorni scorsi erano stati proprio i legali a chiedere ed ottenere dal gip la perizia medica con l'obiettivo di accertare una incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute. E' ipotizzabile che dopo questi nuovi interrogatori la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) chiuda questa inchiesta con la richiesta di un giudizio immediato: il che, tradotto, significa che per l'accusa le prove raccolte sono tante e tali da poter andare subito davanti ai giudici. Chiusa questa indagine, però, i magistrati sono decisi ad aprire altri stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse in questi mesi di indagini.
Non è escluso, ma per ora si tratta di una ipotesi, che il pm possa rivedere i capi d'imputazione proprio sulla base delle novità emerse nel corso delle successive indagini. Forse integrandoli con nuove accuse. Curti è già stato sentito due volte (la seconda su sua richiesta): nel secondo interrogatorio, a differenza di quanto detto nel primo, l'imprenditore si era autoaccusato della gestione delle società del crac escludendo ogni coinvolgimento del commercialista Carmine Tancredi che non è indagato.
Un dietro front che per la procura, ma anche per il gip che aveva respinto la richiesta di scarcerazione fatta dai legali dopo l'audizione, non aveva modificato il quadro indiziario messo insieme nel corso delle indagini. Curti e Di Pietro sono i principali dei sette indagati nell'inchiesta per il crac milionario e i fallimenti pilotati che ha portato anche al sequestro (disposto dal giudice Marina Tommolini) delle quote di due società che avevano sede legale nello studio commerciale del presidente della giunta regionale Gianni Chiodi e del suo socio, il commercialista Tancredi. Si tratta della Kappa Immobiliare e della De Immobiliare Srl, società controllate al 99% da sodalizi ciprioti e che per l'accusa sono le tappe finali dei soldi provenienti dai fallimenti di quattro società svuotate dei loro beni e fatte rientrare in Italia dopo un giro su vari conti esteri.
Curti e Di Pietro dalla settimana scorsa sono ai domiciliari. Li ha concessi il gip Tommolini dopo che i suoi consulenti medici hanno accertato che i due sono «particolarmente depressi». La decisione del giudice, che nel provvedimento ha però ribadito che «le esigenze cautelari connesse al pericolo di recidiva sono pur sempre persistenti», ha portato i difensori di Curti (Gugliemo Marconi e Luca Gentile) a rinunciare all'Appello presentato dopo il settimo no alla scarcerazione dei due arrestati. Nei giorni scorsi erano stati proprio i legali a chiedere ed ottenere dal gip la perizia medica con l'obiettivo di accertare una incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute. E' ipotizzabile che dopo questi nuovi interrogatori la procura (il caso è del procuratore Gabriele Ferretti e del pm Scordamaglia) chiuda questa inchiesta con la richiesta di un giudizio immediato: il che, tradotto, significa che per l'accusa le prove raccolte sono tante e tali da poter andare subito davanti ai giudici. Chiusa questa indagine, però, i magistrati sono decisi ad aprire altri stralci per illuminare le tante zone d'ombra emerse in questi mesi di indagini.
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