Delitto Melania, parla Parolisi: "Pessimista per l'appello"

Il caporal maggiore al suo legale: sono innocente, ma non posso difendermi da accuse che cambiano sempre

TERAMO. «Io e Melania quel giorno siamo stati a Colle San Marco. L’ho sempre detto, nessuno mi ha creduto. Oggi un giudice riconosce questa verità. Ma per me non c’è nessun sollievo. Di che cosa dovrei sentirmi sollevato? Io so di non essere l’assassino. Ma come posso difendermi da accuse che cambiano sempre?» Salvatore Paroli si si prepara ad affrontare il secondo processo di un’altra vita: quella senza moglie, senza figlia, con una condanna di primo grado all’ergastolo. Nella sala colloqui di Castrogno consegna amarezza e paure all’avvocato Nicodemo Gentile, uno dei legali che lo difende con Valter Biscotti e Federica Benguardato. Chi è il caporal maggiore? L’assassino di Melania Rea o lo sventurato protagonista di un destino maligno che gli ha assegnato, in un solo colpo, due tragedie: la moglie ammazzata con 35 coltellate e le accuse contro di lui ? «Ora è un uomo molto preoccupato a cui non dà più sollievo nemmeno il fatto di sapersi innocente», dice Gentile, «perchè si trova davanti un’accusa in continua evoluzione, con una dinamica che cambia di giudice in giudice».

A cominciare dal movente. Il giudice Marina Tommolini, il magistrato che lo ha condannato all’ergastolo al termine di un rito abbreviato, nelle sue motivazioni ne ipotizza un altro: Parolisi avrebbe ammazzato la moglie perchè lei gli ha negato un rapporto sessuale. «Mi sono difeso dall’imbuto passionale, mi sono difeso dal segreto inconfessabile della caserma e continuerò a difendermi perchè io non ho ucciso», dice all’avvocato, «ma come faccio a difendermi da accuse che cambiano sempre? Il perchè e il come di questo delitto continuano a mutare.Se è così, è davvero facile condannare una persona». Lo fa nel giorno in cui all’Aquila s’inaugura l’anno giudiziario e il presidente della Corte d’appello Stefano Schirò dice che le «sentenze vanno criticate, ma non denigrate».

Al suo avvocato, pronto a dire «che c’è il massimo rispetto per il giudice Tommolini, l’unico che ha avuto il coraggio di dire che erano stati violati i diritti della difesa», racconta che non è Melania, non è la loro vita quella tratteggiata nelle sessanta pagine di una sentenza che ha letto e riletto. «Quel 18 aprile non c’era tensione, Melania mi aveva perdonato per il mio tradimento. Melania non è mai stata aggressiva, non è mai stata dominante», dice il caporal maggiore, «da quelle pagine emerge un’immagine distorta di mia moglie». Entro i primi giorni di marzo i legali depositeranno il ricorso in Appello e molto probabilmente già prima dell’estate ci sarà la prima udienza del processo di secondo grado. Processo che Parolisi chiederà di tenere a porte aperte. Nel canovaccio che in questi giorni sta prendendo forma nelle mani dei difensori tanti spunti, a cominciare da quello del vilipendio sul corpo di Melania. Per la Tommolini il caporal maggiore l’avrebbe fatto nella mattinata del 20 aprile , giorno in cui nel pomeriggio venne scoperto il cadavere. «Alle 8.57 di quella mattinata», ricostruisce Gentile, «Parolisi chiama i carabinieri che stanno indagando perchè deve consegnare delle cose che gli hanno chiesto nell’ambito delle ricerche. Gli dicono di aspettare a casa e così lui fa. Resta fino alle 10.49 ad attendere i militari con cui si intrattiene anche a parlare per un po’ di tempo. Come avrebbe fatto a raggiungere il bosco di Ripe in un momento, in cui quella zona era piena di elicotteri e forze dell’ordine impegnati nelle ricerche?». Per tutto il resto bisognerà aspettare l’inizio del secondo processo per l’omicidio di Melania Rea.

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