Detenuti liberi con assunzioni-truffa
Contratti di lavoro con aziende fallite, così uscivano dal carcere. Scattano avvisi di garanzia anche alle imprese
TERAMO. Quando la crisi ingoia aziende e posti di lavoro, stravolgendo economie e vite, tutto può diventare possibile. Anche mettere a disposizione imprese fallite per creare finte occupazioni a detenuti in semilibertà. Probabilmente in cambio di soldi, anche se ciò sarà difficilmente dimostrabile in un eventuale procedimento.
E’ un’inchiesta della procura teraman a svelare un sistema collaudato dove un contabile esperto preparava documenti e alcuni imprenditori falliti fornivano le loro imprese, edili e non solo, per garantire, ma solo sulla carta, assunzioni come operai a detenuti in semilibertà. Soprattutto stranieri. Si tratta di reclusi che hanno scontato un determinato periodo di pena e che quindi, così come stabilito dall’ordinamento penitenziario già prima dell’entrata in vigore della legge Gozzini, possono scontare il resto della pena in semilibertà: di giorno fuori, di notte in carcere. Per farlo è necessario dimostrare di avere un lavoro e per questo, nel momento in cui si presenta la richiesta al magistrato di sorveglianza, diventa vincolante proprio l’ok dell’imprenditore che mette nero su bianco l’assunzione nella propria impresa. Ma, secondo le indagini del pm Stefano Giovagnoni, quelle imprese non esistono più.
Nel fascicolo del sostituto procuratore ci sono due indagati: devono rispondere di truffa e di falso in atto pubblico commesso da privati per trarre in inganno pubblici funzionari. Nel corso delle indagini, che non sono ancora concluse, gli investigatori hanno acquisito centinaia di documenti, soprattutto buste paga e contratti di assunzioni. Documenti all’apparenza perfetti. Ma un attento esame e l’incrocio dei dati forniti hanno fatto emergere incongruenze e irregolarità. Difficile per ora fornire dei numeri, ma i casi scoperti potrebbero essere diversi. La nuova inchiesta della procura segue di poco quella già avviata, e ormai vicina alla conclusione, che nei mesi scorsi ha portato alla scoperta di una sorta di racket sulla pelle degli extracomunitari in cerca di permessi di soggiorno.
Anche in questo caso il pm Giovagnoni ha indagato un ex imprenditore che metteva a disposizione la sua azienda fallita per fare assunzioni a decine di immigrati che rischiavano di scivolare nella clandestinità. Grazie a quei documenti, infatti, gli stranieri disoccupati potevano chiedere il rilascio del permesso di soggiorno, così come prevedono le norme della legge Bossi -Fini. Per l’autorità giudiziaria, che in questo procedimento ha iscritto due nomi nel registro degli indagati, non solo finte assunzioni per garantirsi permessi di soggiorno, ma anche finti licenziamenti per assicurarsi il pagamento di lunghi periodi di disoccupazione e , in alcuni casi, di maternità.
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