Due imprenditori falliti: grazie, giudice
Scrivono a Conciatori che invitava a non considerare una tragedia il crollo di un’azienda: «Ci ha ridato la speranza»
TERAMO. Le sue parole non sono cadute nel vuoto. Il suo appello è stato raccolto. E almeno due delle persone alle quali il suo messaggio era diretto, cioé due imprenditori in crisi che hanno visto le proprie aziende travolte dai debiti, l’hanno impresso forte e chiaro nella propria mente e nel proprio cuore. La lettera aperta scritta da Flavio Conciatori, giudice delegato alle procedure fallimentari del tribunale di Teramo, e pubblicata dal Centro e altre testate lo scorso 20 luglio, ha colto nel segno. Suscitando due risposte commoventi.
Cari imprenditori, scriveva in sostanza Conciatori, non dovete vivere il fallimento come una tragedia. L’attuale congiuntura economica è così tremenda che colpisce inesorabilmente anche gli imprenditori onesti e rende fatalmente breve la vita delle aziende. In questo contesto, continuava il giudice, un concordato preventivo o un fallimento non sono più una patente di incapacità, o peggio di disonestà. Inoltre oggi vi è un istituto giuridico, l’esdebitazione, che consente agli imprenditori falliti, ma onesti, di ripartire da zero senza pesanti zavorre economiche. Dunque, concludeva Conciatori, scegliere soluzioni estreme di fronte al fallimento della propria attività è sbagliato quanto inutile.
La lettera del giudice ha profondamente colpito due teramani, uno di Pineto e uno di Alba Adriatica, che hanno visto le rispettive imprese travolte dalla crisi e per questo hanno vissuto – e vivono tuttora – un difficile momento personale, che li ha portati a un passo dal suicidio. Entrambi si sono sentiti rinfrancati da quelle parole e hanno voluto scrivere al magistrato per ringraziarlo. Quello di Pineto, F.R., la cui azienda produceva mobili e che sta ancora lottando per evitare il fallimento, scrive: «Grazie, signor giudice! Lei ha espresso una sensibilità cristiana, umana e professionale, che difficilmente in questi giorni si può incontrare. Leggendo l’articolo mi sono sfregato gli occhi e ho pianto. Un pianto spontaneo perché ero tornato con il ricordo a oltre due anni prima, quando infilata la canna del fucile in bocca, è mancata la completezza di chiudere quel gesto. Sarebbe bastata una frazione di secondo. In questi giorni quell’uomo sarebbe nel dimenticatoio della vita. Grazie, signor giudice! Che il suo messaggio di speranza, di diritto alla vita, che solo Dio può toglierci, possa arrivare a tutti».
Di certo il messaggio è arrivato anche a E.S., di Alba Adriatica, titolare di una piccola impresa di movimento terra travolta dal mega crac Di Mario, quello che ha coinvolto anche banche come Unicredit e Tercas. E.S. scrive: «Dopo questa vicenda e dopo aver messo tutti i miei risparmi nell’azienda per far fronte fino all’ultimo agli impegni finanziari nonostante le speranze di salvare l’azienda fossero flebili, sono entrato in un periodo di depressione vedendo il fallimento della mia azienda come un fallimento personale di fronte ai miei figli e alla comunità dove vivo. L’altro giorno la mia figlia più piccola si è diplomata, non le dico cosa ho provato non avendo avuto la possibilità di poterle fare un piccolo regalo, pensieri cattivi hanno percorso la mia mente fino a voler lasciare questo mondo. Quando leggendo il giornale mi sono imbattuto nel suo articolo, quelle parole umane dette da un giudice del tribunale mi hanno fatto riflettere, forse non siamo persone da buttare via anche se abbiamo perso tutto, forse non ci dobbiamo vergognare di fronte ad una situazione fallimentare non dovuta a nostre colpe, forse come dice lei c’è speranza per ripartire. Nel frattempo», conclude, «la volevo ringraziare per aver scritto quelle belle parole che danno sicuramente un po’ di conforto a chi si trova nella mia stessa posizione».
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