Espropriati per la diga mai fatta: vincono la causa ma sono morti 

La Cassazione accoglie il ricorso di due proprietari che chiedevano di riavere terreni e abitazione Il progetto del mega invaso nella valle del Fino era stato bloccato per sempre dal ministero nel ’95

TERAMO. La Costituzione cala nella giustizia valori che uno Stato di diritto non dovrebbe mai perdere di vista. A cominciare dai tempi dei procedimenti che non sono mai quelli della vita reale. Perché ci sono voluti quasi vent’anni, esattamente 19, per stabilire che quei terreni con tanto di casa espropriati nel lontano 1984 per la mega diga sul Fino mai realizzata possono tornare a tutti gli effetti ai due proprietari che lì sono rimasti e che in quell’abitazione costruita con tanti sacrifici nel frattempo sono morti.
Il pronunciamento della Cassazione è arrivato dopo che sia il tribunale dell’Aquila sia successivamente la corte d’Appello hanno respinto il ricorso presentato dai proprietari in una vicenda iniziata nel 2005, anno a cui risale il primo ricorso fatto davanti all’allora sezione distaccata del tribunale di Atri con citazione della Regione Abruzzo per chiedere l’acquisto a titolo originario per usucapione di alcuni fabbricati di Bisenti ceduti volontariamente all’ente nell’ambito della più ampia procedura di esproprio. Procedura, quella degli espropri, avviata nel lontano 1979 con tanto di delibera dell’allora Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno della diga sul fiume Fino.
Dopo ci sarebbero stati anni di progetti, proteste, ricorsi, stop e ripartenze fino all’archiviazione di tutta la procedura riguardante il progetto di realizzazione di uno degli invasi più grandi d’Italia decisa nel 1995 dal ministero dei Lavori Pubblici. Negli anni la giurisprudenza ha stabilito nuovi principi nelle questioni relative agli espropri con tanto di pronunciamenti della Cassazione a sezioni unite. Ed è proprio a questi che nel caso in questione i giudici Ermellini fanno riferimento nell’accogliere il ricorso presentato dall’avvocato Guido Felice De Luca , nel cassare la sentenza d’Appello impugnata e nel rinviare alla corte di secondo grado che, si legge nell’ordinanza,« in diversa composizione si uniformerà ai principi di diritto indicati sul punto». Perché la Suprema Corte, in materia di espropri, ha stabilito che, così si legge nell’ordinanza, «quando il soggetto beneficiario dell’esproprio non venga immesso nel possesso del bene, questo è conservato dal proprietario o dall’usucapiente se la fattispecie dell’acquisto non si è ancora perfezionata. La sentenza delle sezioni unite ha confermato che tali principi si applicano anche nel caso di cessione volontaria delle aree, come è avvenuto nel caso di specie, in cui gli immobili del ricorrente sono stati ceduti volontariamente alla Regione Abruzzo per il tramite della Cassa per il Mezzogiorno, a causa e in funzione dell’esproprio, nel 1984».
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