Ex Tercas, 29 indagati spuntano tutti i nomi
I retroscena del caso che ha coinvolto Nisii e Di Matteo: la filiale romana della banca è nell’ex sede della Dc acquistata dall’immobiliarista fallito
TERAMO. E’ un esposto del Gruppo Dimafin, ovvero del costruttore Raffaele Di Mario, contro gli istituti di credito che lo avevano aiutato con prestiti da 500 milioni, a scatenare la bufera giudiziaria sulle banche e sull’ex management di Tercas. Ma il legame tra la Cassa di Risparmio di Teramo e l’immobiliarista romano travolto da un crac da 800 milioni era molto stretto. La filiale romana della Tercas, infatti, venne aperta all’Eur nell’ex sede della Dc, in via Sturzo. Un immobile di prestigio che proprio Di Mario acquistò nel 2004 . Così gli uffici romani della Tercas finirono in quello che una volta era lo studio di Giulio Andreotti. In altre parole, la Tercas, all’epoca diretta da Antonio Di Matteo, pagava l’affitto all’immobiliarista che con il suo crac ha poi scatenato la bufera sul mondo bancario. Sono 29 gli indagati per bancarotta preferenziale e omesso versamento dell’Iva. I loro nomi: Gianni Coriani, ex amministratore delegato di Unicredit Corporate Banking e gli altri sette ex dirigenti della banca: Mario Fertonani, Giorgio Bonavida, Tiziano Carubbi, Andrea Mezzadri, Cristian Giusti, Michele Gallo, Giovanni Passaretti. Ci sono poi gli ex vertici di Banca Italease Lino Benassi, Massimo Mazzega e Massimo Minolfi, ex presidente, ex amministratore delegato ed ex vicepresidente, Massimo Luviè, ex membro del cda, gli ex membri del collegio sindacale Pierluigi De Biasi, Luigi Gaspari, Pietro Mazzola, Antonio Aristide Mastrangelo, i funzionari Massimo Cagnacci e Ferdinando Caresana. Arriviamo quindi a Teramo. Dell’ex Tercas sono finiti nel registro della procura di Roma l’ex presidente della banca, l’avvocato Lino Nisii, l’ex direttore generale, l’avezzanese Di Matteo l’ex vicepresidente Claudio Di Gennaro e gli ex consiglieri d’amministrazione Giuseppe Cingoli, Roberto Carleo, Enzo Formisani, Fabrizio Sorbi, Antonio De Dominicis e Antonio Forlini. Il coinvolgimento dell’ex governance della Tercas, che da maggio è passata nelle mani del commissario di Bankitalia, si consuma nel 2008 durante un consiglio d’amministrazione che vota l’acquisizione di 8,2 milioni di euro di Iva che Di Mario avrebbe dovuto versare all’Erario. Tercas e le altre banche coinvolte vantavano enormi crediti verso Di Mario. Mantenere in vita dal punto di vista economico quest’ultimo cercando di recupere le esposizioni era per il mondo creditizio un obiettivo più che logico. Ma il costruttore romano, dopo aver subìto un anno fa l’onta dell’arresto per bancarotta fraudolenta del Gruppo Dimafin, decide di parlare. Lo stessa cosa fa il suo socio Lucio Giulio Capasso. Parlano entrambi e scaricano sulle banche. Secondo Capasso «L'onerosa intesa per il risanamento del gruppo sottoscritta da Di Mario sarebbe stato un escamotage usato dalle banche per scavallare l'esercizio 2009 evitando pesanti svalutazioni nei loro bilanci e avere più tempo per rientrare dai crediti». Nell’inchiesta quindi spunta l’esposto del Gruppo Dimafin contro le banche coinvolte in cui si sostiene che gli istituti avrebbero «imposto a Di Mario la decisione di non versare l'Iva all’Erario per destinare i relativi importi all'estinzione delle posizioni debitorie verso il ceto bancario» . Da qui il maxi sequestro preventivo scattato due giorni fa di 31,6 milioni : oltre 12 milioni a Unicredit, 7,9 a Banca Italease, 2,6 milioni alla società Factorit spa e gli 8,2 milioni alla Tercas.
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