Fadani: 10 anni ad Elvis, assolti gli altri

La rabbia dei familiari dell'imprenditore ucciso: vergognatevi. I tre rom: la giustizia c'è

TERAMO. Per il giudice quello di Emanuele Fadani è stato un delitto preterintenzionale, non volontario: dieci anni ad Elvis Levakovic, il rom che ha sferrato il pugno mortale all'imprenditore, assoluzione per gli altri due. La sentenza di primo grado scatena la rabbia e l'amarezza dei familiari della vittima che urlano «vergogna», fa gridare ai rom «la giustizia esiste», spazza via l'impianto accusatorio della procura che aveva chiesto 30 anni per ognuno dei nomadi.

In un tribunale blindato da polizia e carabinieri mancano pochi minuti alle 18 quando, dopo cinque ore di camera di consiglio, il gup Giovanni de Rensis legge la sentenza al termine del rito abbreviato che prevede lo sconto fino ad un terzo della pena. In aula i cugini Elvis e Danilo Levakovic, 23 anni, entrambi detenuti, e Sante Spinelli, 33 anni: per il primo il massimo della pena prevista per il preterintenzionale, per gli altri due assoluzione per non aver commesso il fatto. La sera del delitto erano con Elvis, ma per il gup non hanno concorso in alcun modo. Per le parti civili una provvisionale di circa mezzo milione di euro.

LE FAMIGLIE.
Il primo ad uscire dall'aula è Sante Spinelli, agli arresti domiciliari per altri fatti. Grida «La giustizia esiste», piange ed esulta, corre ad abbracciare i suoi familiari. Fuori dall'aula i rom applaudono mentre si allontanano dal tribunale. Dentro l'aula si piange. Piange la moglie di Fadani, piange la madre (tutte ammesse come parti civili). «Vergognatevi» grida qualcuno guardando il giudice che esce. «Non è giustizia questa», urla la moglie dell'imprenditore ucciso, «cosa racconto a mia figlia? Le dico che la vita di suo padre vale solo 10 anni? No, questa non è la giustizia». Anita D'Orazio, la mamma della vittima, l'abbraccia. «Non voglio dire niente», dice ai cronisti, «questa sentenza parla da sola». Con loro ci sono anche i genitori di Antonio De Meo, lo studente universitario ascolano ucciso a pugni da tre rom minorenni due mesi prima del delitto Fadani. Per quell'omicidio due nomadi sono stati condannati ad otto anni. «Per le vittime non c'è giustizia» sussura la madre.

LE PARTI CIVILI.
I legali delle parti civili (Gabriele Rapali, Francesco Maresca e Alessia Moscardelli) annunciano ricorso contro la sentenza. «E' un delitto che andava giudicato collettivamente», dice Rapali, «non capiamo perchè non sia stato riconosciuto il concorso». Tra le parti civili anche Graziano Guercioni, l'amico di Fadani che la sera del delitto era con l'imprenditore. Due dei rom erano accusati anche di lesioni nei suoi confronti per avergli sferrato un pugno: per questo reato sono stati assolti perchè non c'è stata querela di parte.

LA PROCURA.
«Rispettiamo la sentenza e aspettiamo le motivazioni» dice il pm Roberta D'Avolio. Il procuratore Gabriele Ferretti e la D'Avolio avevano chiesto trent'anni ciascuno per i rom, il massimo della pena con il rito abbreviato, non facendo differenze e contestando a tutti l'omicidio volontario aggravato. Secondo la pubblica accusa, infatti, sotto un profilo giuridico non fu un'azione individuale ma collettiva: quella sera di novembre del 2009 Fadani non fu ucciso da un solo rom, ma da tutti e tre. Nel corso della sua requisitoria il pm aveva parlato non di un solo pugno (quello mortale accertato dall'autopsia), ma di più pugni e calci che avrebbero raggiunto l'imprenditore mentre era già a terra. Una ricostruzione contestata dalla difea che aveva sollevato eccezioni.

LA DIFESA.
Il collegio difensivo (composto dagli avvocati Fedele Ferrara, Flavio Grassini, Piergiuseppe Sgura, Giancarlo De Marco e Gennaro Lettieri) aveva chiesto l'assoluzione per Sante e Danilo, sostenendo il preterintenzionale per Elvis. «E' una sentenza che rispetta tutti i ruoli», commenta Fedele Ferrara, difensore di Elvis, «il giudice ha esaminato tutti i fatti. Una sentenza giusta». Per Piergiuseppe Sgura «è una sentenza che ha inquadrato i fatti oggettivi, quelli realmente accaduti, nella giusta fattispecie dei reati previsti dal nostro codice. Siamo stati sempre sereni e convinti che fosse un omicidio preterintezionale. Per come si sono svolti i fatti sapevamo che non poteva esserci nessun concorso morale di Danilo».

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