Fondi all’Isis, parte il processo: «Sermoni per fare proseliti» 

In aula parlano i carabinieri del Ros impegnati nelle indagini partite da una moschea di Martinsicuro Ci sono dieci imputati, tra cui molti commercianti tunisini e un ex imam. Contestati anche reati fiscali 

TERAMO. A quasi sei anni dal maxi blitz con decine di arresti e dopo svariati rinvii dell’udienza preliminare (scandita da difetti di notifica e cambi di giudici), entra nel vivo il processo su un presunto giro di fondi a terroristi islamici partito dalla costa teramana. Secondo l’ipotesi accusatoria ci sarebbero stati reati fiscali commessi per creare fondi neri destinati a finanziare il terrorismo radicale islamico di “Al-Nusra”. Dieci gli imputati, tutti tunisini, tra cui un ex imam. Nella udienza di ieri davanti al collegio presieduto dalla giudice Claudia Di Valerio, a latere i giudici Emanuele Ursini e Martina Pollera, sono stati sentiti, nella loro veste di testi della Pubblica accusa, i carabinieri del Ros che hanno fatto scattare le indagini. «Indagini», ha detto un militare, «che in quel periodo hanno portato ad accertare come in una moschea di Martinsicuro si facevano sermoni per fare proseliti». Secondo l’accusa della Procura distrettuale rappresentata in udienza dal pm Roberta D’Avolio il gruppo avrebbe fatto operazioni per finanziare alcuni terroristi islamici. Ipotesi sempre respinte da tutti gli indagati. Per la Procura distrettuale da Alba e Martinsicuro il gruppo si sarebbe mosso in tutto il mondo per finanziare il terrorismo radicale islamico di “Al-Nusra”, attivo nella guerra in Siria. Sempre per la Procura (accusa tutta da dimostrare nel corso del dibattimento) uno dei commercianti tunisi imputati avrebbe sostenuto economicamente imam di ispirazione radicale. A cominciare da quello di Aversa Yacine Gasri, condannato negli anni scorsi in via definitiva a 4 anni e 9 mesi per associazione con finalità di terrorismo (incontro che secondo l’autorità giudiziaria sarebbe avvenuto nella moschea di Martinsicuro) e con quello che nell’ordinanza di custodia cautelare viene definito «l’influente» imam Omrane Adouni a cui, sostiene sempre l’accusa, il commerciante avrebbe versato somme di denaro e dal quale avrebbe ottenuto, così si legge nella stessa ordinanza, «informazioni di prima mano sulla situazione siriana e sulle operazioni di guerriglia». E con quest’ultimo, sempre così è stato ricostruito dall’accusa e scritto all’epoca nell’ordinanza di custodia, in una intercettazione del 2018, discuteva delle modalità e dei soldi necessari per far entrare combattenti in Siria. Sempre secondo gli inquirenti (avrebbe fatto arrivare due milioni di euro provenienti da un giro di false fatturazioni ed evasione fiscale proveniente dalle sue imprese edili e di commercializzazione di tappeti.
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