MONTORIO AL VOMANO
Guarisce dal Covid e torna a casa dopo quattro mesi d’ospedale
La storia di un 67enne tipografo in pensione: "Mi è sembrato di nascere la seconda volta, sono rimasto intubato per trenta giorni, ma non mi sono mai arreso. E adesso apprezzo ogni cosa"
MONTORIO AL VOMANO. Tornare a casa dopo quattro mesi di ricovero in ospedale per Covid, uno dei quali trascorso in rianimazione intubato, e riscoprire la bellezza della quotidianità. È questa la sensazione che ha provato Bruno Casalena, tipografo in pensione di 67anni originario di Bellante ma domiciliato a Piane di Collevecchio di Montorio, che ha riabbracciato i suoi cari dopo 120 giorni di battaglia contro il virus. Un’emozione grande rientrare nella propria casa che non gli ha fatto trattenere le lacrime tra i sorrisi dei famigliari che lo hanno accolto. Per lui i segni ancora visibili - 25 chili in meno e difficoltà motorie - ma la consapevolezza che ritornare alla vita è stata davvero una vittoria.
«Finalmente rivedo la luce e la mia nuova vita è sbocciata come la primavera», dice, «pensavo che non sarei mai uscito da quell’ospedale e, invece, sono qui, che a piccoli passi riconquisto tutto quello che la bestia invisibile mi ha tolto». Il Covid è passato come un uragano nella sua esistenza a inizio novembre, scatenando la sua forza distruttrice. «Da qualche giorno soffrivo una stanchezza anomala, ma non avevo la febbre», prosegue, «poi d’improvviso la saturazione dell’ossigeno è crollata e sono stato ricoverato d’urgenza con la diagnosi di polmonite bilaterale».
È stato ricoverato per più di un mese nella terapia intensiva Covid dell’ospedale Mazzini, prima intubato e poi in tracheotomia, in chirurgia generale per il decubito alla schiena e alla testa e in quello di riabilitazione di Atri. «Quando mi sono svegliato il primo pensiero è stato per i tre pazienti che erano con me in stanza», dice ancora, «e sapere che non ce l'avevano fatta mi ha distrutto. La paura di morire non è passata e ancora adesso mi tormentano gli incubi. E’ bello tornare a vivere, ma non è facile cancellare i segni del coronavirus». Una famiglia intera che ha sofferto con lui, ma che gli ha fatto arrivare l’amore e il coraggio. «La voce della mia compagna Rosalia è stata la migliore medicina e mi ha trasmesso una forza indescrivibile», confida, «abbiamo sofferto in modo diverso, ma insieme e questa non è la mia, ma la nostra vittoria».
Bruno, che è un attento per natura, ancora si chiede dove abbia contratto il virus e la rabbia lo assale per chi ne nega l’esistenza. Le cure non sono terminate, la riabilitazione prosegue e per la guarigione delle piaghe passeranno altri mesi. «Solo chi non sa cos’è il Covid si permette di sminuirlo», continua, «è un nemico subdolo che non ti guarda in faccia e si deve stare sempre in guardia. Ringrazio i reparti di rianimazione di Teramo e di riabilitazione di Atri con la dottoressa Franzoni: il primo per avermi ridato la vita, il secondo per avermi aiutato a riprenderla in mano. Quest’esperienza mi ha insegnato che non bisogna mai dare troppo peso alle cose che non lo meritano, e, al contrario, di godere delle piccole gioie che diamo per scontate. Ma ancor di più di dedicarci ai nostri affetti e alle persone che soffrono. Io ricomincio da zero con serenità e con tanta umanità».
E la mente ora corre verso il futuro: «Il mio sogno è di tornare a un concerto di musica dal vivo. Tra le gente, senza stampelle, distanze e cantando ad alta voce verso il cielo mi sentirò libero e potrò finalmente urlare al mondo di
avercela fatta».
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