I giudici: Parolisi resta in carcere
Gli indizi gravi dell'accusa reggono, la Cassazione respinge il ricorso
TERAMO. Salvatore Parolisi resta in carcere. L'impianto accusatorio supera il banco di prova della Cassazione, che rigetta il ricorso presentato dai difensori del caporal maggiore accusato di aver ucciso la moglie Melania Rea. Mancano pochi minuti alle 19.30, quando i giudici della prima sezione penale della Suprema corte - da 5 ore in camera di consiglio - mettono nero su bianco il dispositivo.
Per ora una sola parola: rigetto. Entro cinque giorni le motivazioni del provvedimento. Al centro del ricorso l'ordinanza del tribunale del Riesame dell'Aquila, quella con cui ad agosto i giudici avevano negato la libertà a Parolisi confermando la seconda ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giovanni Cirillo. Nell'udienza di ieri mattina l'avvocato Valter Biscotti (difensore di Parolisi insieme a Nicodemo Gentile e Federica Benguardato) ha sostenuto la sottovalutazione di prove a discolpa dell'indagato. Per questo, ha detto Biscotti, «c'é un difetto di motivazione nell'ordinanza di custodia cautelare che deve essere dunque annullata». Il sostituto procuratore della Cassazione Fabio De Santis, invece, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma dell'ordinanza di custodia.
Ora, mentre l'inchiesta sull'omicidio si avvia a finire davanti al giudice delle udienze preliminari, per il caporal maggiore la battaglia si sposta su un altro fronte: quello per la figlia. Venerdì sarà al tribunale dei minori di Napoli che deve decidere sull'affidamento della piccola. Intanto i suoi legali, che incassano il secondo no in pochi mesi dopo quello dei giudici del Riesame, sollevano dubbi e interrogativi. Dopo aver puntato sulla presenza di altri Dna sotto le unghie della vittima, aver sollevato il dubbio sull'ora della morte indicata dall'autopsia, aver parlato dell'impronta di scarpa sulle assi del chiosco di Ripe, hanno tirato fuori una traccia di sangue sulla gamba destra di Melania. Quella macchia, secondo loro, potrebbe essere la prova che scagionerebbe Parolisi. Ne sono convinti a tal punto che hanno annunciato l'intenzione di chiedere un incidente probatorio al gip del tribunale di Teramo. Secondo i legali quella striscia di sangue sarebbe stata lasciata dal polsino di un indumento a manica lunga con delle zigrinature. Parolisi, però, indossava una maglietta a maniche corte. Ma per l'accusa, prima la procura di Ascoli e poi quella di Teramo, l'assassino è il caporal maggiore: nessuna prova regina, ma tanti indizi. Un percorso delineato in centinaia di atti, reperti del Ris e decine di audizioni. Per sette pm e due gip il 18 aprile è stato lui ad uccidere: lo ha fatto stretto tra le bugie raccontate all'amante soldatessa e quelle alla moglie.
Per ora una sola parola: rigetto. Entro cinque giorni le motivazioni del provvedimento. Al centro del ricorso l'ordinanza del tribunale del Riesame dell'Aquila, quella con cui ad agosto i giudici avevano negato la libertà a Parolisi confermando la seconda ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giovanni Cirillo. Nell'udienza di ieri mattina l'avvocato Valter Biscotti (difensore di Parolisi insieme a Nicodemo Gentile e Federica Benguardato) ha sostenuto la sottovalutazione di prove a discolpa dell'indagato. Per questo, ha detto Biscotti, «c'é un difetto di motivazione nell'ordinanza di custodia cautelare che deve essere dunque annullata». Il sostituto procuratore della Cassazione Fabio De Santis, invece, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma dell'ordinanza di custodia.
Ora, mentre l'inchiesta sull'omicidio si avvia a finire davanti al giudice delle udienze preliminari, per il caporal maggiore la battaglia si sposta su un altro fronte: quello per la figlia. Venerdì sarà al tribunale dei minori di Napoli che deve decidere sull'affidamento della piccola. Intanto i suoi legali, che incassano il secondo no in pochi mesi dopo quello dei giudici del Riesame, sollevano dubbi e interrogativi. Dopo aver puntato sulla presenza di altri Dna sotto le unghie della vittima, aver sollevato il dubbio sull'ora della morte indicata dall'autopsia, aver parlato dell'impronta di scarpa sulle assi del chiosco di Ripe, hanno tirato fuori una traccia di sangue sulla gamba destra di Melania. Quella macchia, secondo loro, potrebbe essere la prova che scagionerebbe Parolisi. Ne sono convinti a tal punto che hanno annunciato l'intenzione di chiedere un incidente probatorio al gip del tribunale di Teramo. Secondo i legali quella striscia di sangue sarebbe stata lasciata dal polsino di un indumento a manica lunga con delle zigrinature. Parolisi, però, indossava una maglietta a maniche corte. Ma per l'accusa, prima la procura di Ascoli e poi quella di Teramo, l'assassino è il caporal maggiore: nessuna prova regina, ma tanti indizi. Un percorso delineato in centinaia di atti, reperti del Ris e decine di audizioni. Per sette pm e due gip il 18 aprile è stato lui ad uccidere: lo ha fatto stretto tra le bugie raccontate all'amante soldatessa e quelle alla moglie.
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