Il caso Delfico va in Cassazione: «Ordinanza nulla, zero pericoli» 

Sono quattro i motivi alla base del ricorso presentato alla Suprema Corte contro il sequestro Domani e martedì tre tecnici della difesa autorizzati a entrare nell’edificio per accertamenti

TERAMO. Quattro motivi per chiedere alla Cassazione la nullità dell’ordinanza di sequestro di Convitto e liceo Delfico. Perché un ricorso alla Suprema Corte è un’azione complessa in cui le censure all’atto impugnato devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi specifici. Polemiche, proteste, chiacchiericcio da social restano fuori da ogni perimetro.
Ed è con una certosina e mirata esposizione di elementi che il ricorso presentato dalla Provincia (redatto dall’avvocato Gennaro Lettieri e dal collega Antonio Zecchino dell’avvocatura interna dell’ente) punta a far breccia negli Ermellini per annullare il provvedimento disposto dal tribunale dopo il ricorso della Procura.
Nell’attesa dell’esito, si prevedono tempi sicuramente non brevi, i legali hanno disposto, dopo aver ottenuto l’autorizzazione della Procura, che domani e martedì tre consulenti tecnici accedano all’edificio sequestrato per accertamenti ritenuti indispensabili. Appare evidente che l’esito di questi accertamenti tecnici consentirà ai legali di fare ulteriori valutazioni sulla possibilità di avanzare istanza di dissequestro agli organi giudiziari teramani in un percorso che, evidentemente, ha tempi diversi da quelli della Suprema Corte. Così a questo proposito dichiara Lettieri: «Gli accertamenti svolti dalla difesa consentiranno di valutare la condizione dell’edificio e l’eventuale possibilità del rientro degli alunni».
Il primo dei quattro motivi del ricorso agli Ermellini è quello della nullità ordinaria perché, secondo i ricorrenti, si pone una questione di inutilizzabilità degli atti che la Procura pone alla base del suo procedimento, che nasce da un precedente poi archiviato.
Il secondo motivo è la violazione della legge per quella che, secondo sempre i ricorrenti, è una erronea applicazione di due decreti ministeriali (uno del 2008 e uno del 2018) per l’indice di vulnerabilità. La Procura ha ritenuto, sulla base della sua consulenza redatta dal comitato tecnico amministrativo del Provveditorato alle Opere pubbliche (che la difesa sostiene essere stata solo documentale), che l’indice fosse inferiore a quello dovuto e ha ritenuto sussistente il pericolo del crollo. A questo nel ricorso si obietta che la valutazione della sicurezza è disciplinata da norme tecniche vigenti per cui sia il livello di sicurezza sismica sia il livello di staticità siano assolutamente garantiti. Nel terzo motivo si evidenzia come, sempre secondo i ricorrenti, non ci sia nessun elemento nel procedimento tratto dalla consulenza della Procura che confermi un deficit di sicurezza dell’edificio sia dal punto di vista sismico che statico. Secondo la difesa non sussiste il pericolo di rovina che è il presupposto del reato contestato dalla Procura, ovvero l’articolo 677 del codice penale. Per il ricorrente non esiste il pericolo concreto di crollo. Aspetto, quest’ultimo, per cui si fa riferimento anche al provvedimento con cui il gip ha rigettato l’istanza di sequestro della Procura (che poi ha fatto ricorso al Riesame), ritenendo alla luce degli accertamenti che non sussistesse né l’attualità né la concretezza del pericolo di crollo. Questo, sempre per la difesa, per un edificio che nel corso dei suoi 90 anni di vita ha affrontato senza danni strutturali vari eventi naturali.
Il quarto motivo è quello del difetto di proporzionalità. Secondo la difesa, con il sequestro è stato apposto un vincolo reale su un intero edificio cittadino in attività che ospita studenti, docenti, impiegati, convittori.
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