Il figlio ha ucciso, niente cittadinanza
È la mamma del marocchino, ora libero dopo aver scontato la pena, che nel 2008 accoltellò l’ex pesista Max Costantini
TERAMO. La forza delle cose s’incarica sempre di restituirci la realtà. Così nei giorni infiniti dello Ius soli, del caso migranti in Albania e di una sempre più irrisolta questione migratoria, questa storia racconta altro.
Racconta di una donna marocchina in Italia da più di 20 anni, incensurata, lavoratrice instancabile e amatissima da chi l’ha avuta come collaboratrice domestica e badante, che rischia di non avere la cittadinanza italiana perché suo figlio è stato condannato per omicidio. «Tale circostanza allo stato», le ha comunicato in una nota il funzionario del ministero dell’Interno che segue l’istruttoria dopo la sua richiesta di cittadinanza, «non consente di poter affermare che abbia raggiunto un grado sufficiente di integrazione nella comunità nazionale, desumibile anche dal rispetto delle regole di civile convivenza e rigorosa osservanza della legge penale vigente nell’ordinamento giuridico italiano da parte dei membri del proprio nucleo familiare». Succede nel Paese in cui la Costituzione sancisce il principio della personalità della responsabilità penale: ciascun individuo è responsabile solamente per le proprie azioni e, quindi, non può essere punito per un reato commesso da altre persone.
Ma il quotidiano è fatto di altro. Come questo caso. Lei è N. S., mamma di Mounaim Diab, marocchino oggi 34enne condannato a 15 anni per l’omicidio del 69enne Max Costantini, conosciutissimo ex pesista ed allenatore teramano, ucciso nel 2008 nel suo laboratorio artigianale di San Nicolò: quattordici coltellate sferrate, così si è sempre difeso Diab davanti ai giudici, nel tentativo di respingere delle presunte avances sessuali dell’uomo. Dal 2021 Diab è libero dopo aver scontato nove anni e cinque mesi di reclusione, oltre a due anni e otto mesi di riduzione della pena a titolo di liberazione anticipata. Nel 2018 il tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta di affidamento ai servizi sociali per gli ultimi tre anni e cinque mesi. Dal 2012 l’uomo è su una sedia a rotelle perché affetto da spondilite anchilosante, una grave malattia progressiva reumatica delle anche che non gli consente di muoversi. E proprio a causa delle sue condizioni di invalido al 100% dichiarate incompatibili con il sistema carcerario ha trascorso otto anni agli arresti domiciliari nell’abitazione teramana della madre. Una concessione, quella dei domiciliari, arrivata dopo una lunga battaglia legale combattuta dal suo avvocato Gennaro Lettieri tra decine di ricorsi e istanze. Nel 2015 l’avvocato Lettieri aveva presentato anche una richiesta di grazia successivamente respinta. In quell’occasione il giovane, arrivato in Italia a 15 anni con la madre, aveva detto: «Per quello che ho fatto le scuse non bastano». Perché un omicidio è un omicidio. E questo non si può scordare. Ma, questo il filo conduttore delle istanze presentate all’epoca dal legale anche all’allora ministro della Giustizia Paola Severino intervenuta per consentire al giovane di essere sottoposto a un’operazione chirurgica all’anca, si può impedire che per un detenuto malato la pena diventi un trattamento inumano e degradante, così come ha più volte stabilito la Cassazione e così come la Corte europea dei diritti dell’uomo ricorda ogni giorno. Perché lo Stato non dovrebbe mai rischiare di comportarsi come o peggio di chi viene giudicato colpevole.
E anche sul caso della mamma di Diab, l’avvocato Lettieri annuncia battaglia. Il primo passo è stato fatto con la presentazione di tutta una serie di controdeduzioni al procedimento avviato dal ministero dell’Interno, in questo caso dalla direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze che ha aperto l’istruttoria dopo la richiesta di cittadinanza italiana che la donna ha presentato nel luglio del 2020 facendo riferimento a quanto sancito dall’articolo 9 della legge 91 del 1992. «Sulla stessa», è scritto nella nota ricevuta dalla donna, «è stata aperta l’istruttoria di rito dalla quale sono emersi elementi che apparirebbero non rendere possibile l’attribuzione della richiesta di cittadinanza».
La battaglia per la cittadinanza italiana di Nadia è appena iniziata.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Racconta di una donna marocchina in Italia da più di 20 anni, incensurata, lavoratrice instancabile e amatissima da chi l’ha avuta come collaboratrice domestica e badante, che rischia di non avere la cittadinanza italiana perché suo figlio è stato condannato per omicidio. «Tale circostanza allo stato», le ha comunicato in una nota il funzionario del ministero dell’Interno che segue l’istruttoria dopo la sua richiesta di cittadinanza, «non consente di poter affermare che abbia raggiunto un grado sufficiente di integrazione nella comunità nazionale, desumibile anche dal rispetto delle regole di civile convivenza e rigorosa osservanza della legge penale vigente nell’ordinamento giuridico italiano da parte dei membri del proprio nucleo familiare». Succede nel Paese in cui la Costituzione sancisce il principio della personalità della responsabilità penale: ciascun individuo è responsabile solamente per le proprie azioni e, quindi, non può essere punito per un reato commesso da altre persone.
Ma il quotidiano è fatto di altro. Come questo caso. Lei è N. S., mamma di Mounaim Diab, marocchino oggi 34enne condannato a 15 anni per l’omicidio del 69enne Max Costantini, conosciutissimo ex pesista ed allenatore teramano, ucciso nel 2008 nel suo laboratorio artigianale di San Nicolò: quattordici coltellate sferrate, così si è sempre difeso Diab davanti ai giudici, nel tentativo di respingere delle presunte avances sessuali dell’uomo. Dal 2021 Diab è libero dopo aver scontato nove anni e cinque mesi di reclusione, oltre a due anni e otto mesi di riduzione della pena a titolo di liberazione anticipata. Nel 2018 il tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta di affidamento ai servizi sociali per gli ultimi tre anni e cinque mesi. Dal 2012 l’uomo è su una sedia a rotelle perché affetto da spondilite anchilosante, una grave malattia progressiva reumatica delle anche che non gli consente di muoversi. E proprio a causa delle sue condizioni di invalido al 100% dichiarate incompatibili con il sistema carcerario ha trascorso otto anni agli arresti domiciliari nell’abitazione teramana della madre. Una concessione, quella dei domiciliari, arrivata dopo una lunga battaglia legale combattuta dal suo avvocato Gennaro Lettieri tra decine di ricorsi e istanze. Nel 2015 l’avvocato Lettieri aveva presentato anche una richiesta di grazia successivamente respinta. In quell’occasione il giovane, arrivato in Italia a 15 anni con la madre, aveva detto: «Per quello che ho fatto le scuse non bastano». Perché un omicidio è un omicidio. E questo non si può scordare. Ma, questo il filo conduttore delle istanze presentate all’epoca dal legale anche all’allora ministro della Giustizia Paola Severino intervenuta per consentire al giovane di essere sottoposto a un’operazione chirurgica all’anca, si può impedire che per un detenuto malato la pena diventi un trattamento inumano e degradante, così come ha più volte stabilito la Cassazione e così come la Corte europea dei diritti dell’uomo ricorda ogni giorno. Perché lo Stato non dovrebbe mai rischiare di comportarsi come o peggio di chi viene giudicato colpevole.
E anche sul caso della mamma di Diab, l’avvocato Lettieri annuncia battaglia. Il primo passo è stato fatto con la presentazione di tutta una serie di controdeduzioni al procedimento avviato dal ministero dell’Interno, in questo caso dalla direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze che ha aperto l’istruttoria dopo la richiesta di cittadinanza italiana che la donna ha presentato nel luglio del 2020 facendo riferimento a quanto sancito dall’articolo 9 della legge 91 del 1992. «Sulla stessa», è scritto nella nota ricevuta dalla donna, «è stata aperta l’istruttoria di rito dalla quale sono emersi elementi che apparirebbero non rendere possibile l’attribuzione della richiesta di cittadinanza».
La battaglia per la cittadinanza italiana di Nadia è appena iniziata.
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