SANT'OMERO
Il papà: forse Daniele si poteva salvare
Lo strazio dei genitori del giovane trovato senza vita a quattro anni dalla scomparsa: «Mille volte ho percorso quella strada»
SANT’OMERO. Lo strazio è nel silenzio prima ancora che nelle parole. Quello che scandisce la telefonata con papà Ottavio Taddei è un pugno nello stomaco: «Quella strada l’ho percorsa mille volte. Io come tanti altri, ma nessuno ha mai visto niente. Daniele si poteva salvare?». Daniele, 28 anni e un futuro tutto da scrivere, lo hanno trovato quattro anni dopo la sua scomparsa nella macchina finita in un canneto a meno di trecento metri dalla casa dei nonni.
Il giorno dopo c’è spazio solo per il dolore. Lancinante e senza pace come può essere solo quello di un padre e di una madre per la morte di un figlio sparito di casa dopo una telefonata. «Ho appena finito di lavorare», aveva detto al padre, «tra poco torno». Ma a Sant’Omero Daniele non era mai arrivato. Ottavio, sua moglie Rossella e l’altra figlia lo hanno cercato per anni lanciando appelli in tv e sui giornali, aprendo pagine sui social, sollecitando fino all’ultimo le ricerche, opponendosi alla richiesta d’archiviazione fatta dalla Procura e accolta dal tribunale per quello che all’epoca gli investigatori avevano definito un allontanamento volontario. Una battaglia combattuta con a fianco l’associazione Penelope che si occupa di persone scomparse. «È stata una scoperta straziante proprio per come all’epoca si svolsero le ricerche», dice l’avvocato e vice presidente Federica Benguardato, «in quei giorni tante volte avevamo chiesto di insistere in quella zona che era quella da cui, almeno nei due giorni successivi, arrivava il segnale del cellulare che aveva agganciato una cella telefonica della zona. Certo il raggio d’azione era molto ampio, ma sicuramente era una pista da seguire. Fino alla fine abbiamo insistito per continuare nelle ricerche e in più occasioni avevamo anche chiesto di poter partecipare. Questa drammatica vicenda ci deve insegnare come il coordinamento nelle ricerche delle persone scomparse debba essere un presupposto fondamentale».
Ora sarà l’esame del Dna a fissare per sempre la drammatica certezza che quei resti trovati nella Nissan Micra grigia finita nel fosso di contrada Terrabianca siano di Daniele Taddei, che possa essere stato un incidente stradale o che il ragazzo abbia perso il controllo della vettura a causa di un malore. Ma soprattutto a stabilire, compatibilmente con il tempo trascorso, se il ragazzo sia morto sul colpo. Dice a questo proposito Roberta Taddei, la cugina di Daniele: «Non è facile per noi parenti e ancor più per la famiglia di Daniele vivere questo momento così doloroso. Il tempo non aveva cancellato assolutamente il pensiero ma aveva lenito il dolore che ora riaffiora in maniera fortissima. Nella famiglia, come per noi, era viva la speranza che Daniele fosse vivo e si trovasse da qualche parte. Questa speranza si è spenta». E aggiunge: «Se davvero a causare la morte di Daniele è stato un incidente stradale, ci affligge il fatto che forse poteva essere soccorso. Era vivo? Si poteva fare qualcosa? Ci fa soffrire ancor più il pensiero che Daniele abbia potuto vivere ore di agonia senza nessuno che lo abbia soccorso. E questo pensiero rende il dolore ancora più insopportabile».
(ha collaborato
Alex De Palo)
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