Imprenditore svela: mi contattò Tancredi
Il socio di studio di Chiodi trattò con Rapagnà l'acquisto del lido Atlantic di Roseto
TERAMO. «Nel 2008 furono Carmine Tancredi e Maurizio Di Pietro a contattarmi per trattare l'acquisto della concessione del Lido Atlantic». A parlare è Alberto Rapagnà, imprenditore rosetano. La sua testimonianza getta nuovi dubbi su uno degli episodi conclusivi del cosiddetto crac Di Pietro, la serie di bancarotte che coinvolge - finora come semplice teste - il commercialista Carmine Tancredi, socio di studio del presidente della Regione Gianni Chiodi.
L'acquisto dell'Atlantic per 350mila euro è la principale operazione compiuta dalla Kappa Immobiliare Srl, una delle due società - l'altra è la De Immobiliare Srl - che avevano sede legale nello studio Chiodi-Tancredi e che secondo la Procura di Teramo, che ne ha sequestrato le quote, costituivano il terminale di un vorticoso giro di denaro sporco. Milioni di euro sottratti ai creditori dopo i fallimenti di quattro società riconducibili agli imprenditori teramani Maurizio Di Pietro e Guido Curti (attualmente in carcere) e Nicolino Di Pietro (ai domiciliari). Milioni mandati a spasso per l'Europa, tra banche svizzere e inglesi, e rientrati in Italia con la decisiva copertura di società cipriote. Sono di Cipro, infatti, le società che detengono il 99 per cento delle quote della Kappa e della De. L'un per cento, in entrambi i casi, è di un pensionato rosetano, Pietro Spinetti, che figura come amministratore delle due Srl. Proprio Spinetti, a nome della Kappa Immobiliare, nel 2009 firma l'atto notarile che sancisce l'acquisto della concessione dell'Atlantic. Ma questa è solo la conclusione del percorso.
In precedenza l'affare viene trattato e portato avanti da Maurizio Di Pietro e dal commercialista di quest'ultimo, Carmine Tancredi. Alberto Rapagnà conferma: «Nel 2008 il compromesso venne stilato da Tancredi e l'acquirente era Di Pietro. Mesi dopo mi comunicarono via lettera che intestavano il ramo d'azienda alla Mg Costruzioni. Successivamente, mi scrissero che l'intestazione sarebbe passata alla Kappa Immobiliare. L'atto dal notaio fu fatto poco dopo. Mi pagarono con assegni circolari della Banca di Teramo». Rapagnà, finora, non è stato sentito dal pm Irene Scordamaglia e dalla guardia di finanza, che indagano sul crac. Strano? Secondo lui no: «Per quale motivo mi dovrebbero sentire? Confermerei solo quello che ho già scritto in una dichiarazione consegnata all'avvocato Fasciocco, che a sua volta l'ha girata alla magistratura». Milco Fasciocco, in qualità di curatore fallimentare di una delle società travolte dal crac, è colui il quale ha scoperchiato il pentolone. È dal tentativo di corromperlo operato, secondo l'accusa, dai fratelli Di Pietro e da Curti, che sono scaturiti gli arresti dei tre e della moglie di Curti, Loredana Cacciatore, poi tornata in libertà.
Carmine Tancredi, nella lettera al Centro in cui difende il suo operato, parlando della Kappa Immobiliare scrive: «L'affermazione secondo la quale io avrei gestito la società sequestrata sulla scorta di una procura speciale adultera profondamente la verità storica dei fatti. L'aggettivo "speciale" designa il potere di compiere, in nome e per conto di chi rilascia la procura, un unico affare che nel caso di specie si identificava con la costituzione delle società, atto di routine». Tancredi, insomma, dice: io sono solo stato incaricato di costituire la Kappa. E aggiunge: il fatto che la Srl avesse sede legale nel mio studio «rientra nell'ambito delle prestazioni professionali». La sua tesi trova conforto nel fatto che la Procura, dopo aver lavorato per mesi, non lo ha neanche iscritto nel registro degli indagati. Il suo ruolo, però, è ancora oggetto di approfondimenti. Gli stessi arrestati lo hanno chiamato in causa sostenendo che era Tancredi a gestire tutti i loro soldi. E adesso spunta il racconto di Rapagnà. Che dice come l'unico affare di rilievo targato Kappa Immobiliare sia stato portato avanti, prima ancora che la società nascesse, da Tancredi in persona.
L'acquisto dell'Atlantic per 350mila euro è la principale operazione compiuta dalla Kappa Immobiliare Srl, una delle due società - l'altra è la De Immobiliare Srl - che avevano sede legale nello studio Chiodi-Tancredi e che secondo la Procura di Teramo, che ne ha sequestrato le quote, costituivano il terminale di un vorticoso giro di denaro sporco. Milioni di euro sottratti ai creditori dopo i fallimenti di quattro società riconducibili agli imprenditori teramani Maurizio Di Pietro e Guido Curti (attualmente in carcere) e Nicolino Di Pietro (ai domiciliari). Milioni mandati a spasso per l'Europa, tra banche svizzere e inglesi, e rientrati in Italia con la decisiva copertura di società cipriote. Sono di Cipro, infatti, le società che detengono il 99 per cento delle quote della Kappa e della De. L'un per cento, in entrambi i casi, è di un pensionato rosetano, Pietro Spinetti, che figura come amministratore delle due Srl. Proprio Spinetti, a nome della Kappa Immobiliare, nel 2009 firma l'atto notarile che sancisce l'acquisto della concessione dell'Atlantic. Ma questa è solo la conclusione del percorso.
In precedenza l'affare viene trattato e portato avanti da Maurizio Di Pietro e dal commercialista di quest'ultimo, Carmine Tancredi. Alberto Rapagnà conferma: «Nel 2008 il compromesso venne stilato da Tancredi e l'acquirente era Di Pietro. Mesi dopo mi comunicarono via lettera che intestavano il ramo d'azienda alla Mg Costruzioni. Successivamente, mi scrissero che l'intestazione sarebbe passata alla Kappa Immobiliare. L'atto dal notaio fu fatto poco dopo. Mi pagarono con assegni circolari della Banca di Teramo». Rapagnà, finora, non è stato sentito dal pm Irene Scordamaglia e dalla guardia di finanza, che indagano sul crac. Strano? Secondo lui no: «Per quale motivo mi dovrebbero sentire? Confermerei solo quello che ho già scritto in una dichiarazione consegnata all'avvocato Fasciocco, che a sua volta l'ha girata alla magistratura». Milco Fasciocco, in qualità di curatore fallimentare di una delle società travolte dal crac, è colui il quale ha scoperchiato il pentolone. È dal tentativo di corromperlo operato, secondo l'accusa, dai fratelli Di Pietro e da Curti, che sono scaturiti gli arresti dei tre e della moglie di Curti, Loredana Cacciatore, poi tornata in libertà.
Carmine Tancredi, nella lettera al Centro in cui difende il suo operato, parlando della Kappa Immobiliare scrive: «L'affermazione secondo la quale io avrei gestito la società sequestrata sulla scorta di una procura speciale adultera profondamente la verità storica dei fatti. L'aggettivo "speciale" designa il potere di compiere, in nome e per conto di chi rilascia la procura, un unico affare che nel caso di specie si identificava con la costituzione delle società, atto di routine». Tancredi, insomma, dice: io sono solo stato incaricato di costituire la Kappa. E aggiunge: il fatto che la Srl avesse sede legale nel mio studio «rientra nell'ambito delle prestazioni professionali». La sua tesi trova conforto nel fatto che la Procura, dopo aver lavorato per mesi, non lo ha neanche iscritto nel registro degli indagati. Il suo ruolo, però, è ancora oggetto di approfondimenti. Gli stessi arrestati lo hanno chiamato in causa sostenendo che era Tancredi a gestire tutti i loro soldi. E adesso spunta il racconto di Rapagnà. Che dice come l'unico affare di rilievo targato Kappa Immobiliare sia stato portato avanti, prima ancora che la società nascesse, da Tancredi in persona.
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