L’attuale piazza Martiri a inizio ’900quando era intitolata al re Vittorio
Alcuni degli edifici che si vedono erano stati realizzati da poco e altri sarebbero stati demoliti a breve. Già sparita la fontana che era stata fatta eliminare da una campagna giornalistica
TERAMO. La foto oggi in regalo con il Centro mostra la piazza Vittorio Emanuele II (l’odierna piazza Martiri della Libertà) in uno scatto che risale al primo ventennio del ’900, effettuato in pieno giorno. La prospettiva mette in evidenza solo alcune delle costruzioni allora presenti.
Da sinistra, la prima cosa che si vede sono i “portici bassi”: dopo il 1920, l’edificio fu rialzato. Procedendo, l’edificio che risalta è quello dei portici Costantini (per intenderci, i portici detti “di Fumo”), allora sede della Banca Mutua Popolare e, più tardi, degli uffici del Comune. I portici ospitavano il caffè Modernissimo, poi divenuto caffè Italia e successivamente Grande Italia. Precedentemente, al posto dei portici Costantini, sorgevano la casa e i portici Pompetti: l’edificio, dopo aver subito una parziale demolizione nel 1888 e un crollo nel 1892, fu abbattuto all’inizio del ’900.
Il terzo edificio da sinistra è casa Ginaldi, che, dopo aver ospitato la sede della Banca Mutua Popolare, accolse nei suoi locali la trattoria della “Sposetta” e l’assicurazione Rolli. Sotto i portici c’era la cappelleria Rubini, già lì dal 1899 e restaurata negli anni ’20. A fianco di casa Ginaldi si intravede casa Rozzi, mentre, spostandosi sulla destra, il primo edificio che spunta è una delle case del Capitolo aprutino, volute dalla diocesi, che ricavava degli utili dagli affitti.
A fianco il palazzo del Vescovado, che aveva il suo ingresso non sul lato di piazza Vittorio Emanuele, ma sul lato sud dell’edificio. La terza costruzione da destra è casa Mancini, dove aveva sede non solo la tipografia dell’editore Giovanni Fabbri, ma anche la redazione del “Centrale”, il giornale più letto in città.
«La redazione del giornale», racconta un aneddoto Fausto Eugeni della biblioteca Delfico, «sorgeva all’angolo tra via del Leone, dove aveva il suo ingresso, e via della Verdura, dove affacciavano le sue finestre: coloro che vi scrivevano erano soliti presentarsi come quelli del giornale di via del Leone e classificare gli avversari (allora a Teramo ce n’erano diversi) come quelli dei fogliacci di via della Verdura».
Questo è ciò che la foto mostra, non potendo offrire una veduta globale della piazza, da cui sono esclusi altri edifici, tra i quali il lato sud del Duomo e, sull’altro lato, la casa Ponno-Rapinii (l’edificio a fianco all’odierno caffè dell’olmo), sede del primo ufficio postale dal 1869 al 1879 e poi del Credito Italiano.
Già scomparsa, ai tempi dello scatto, la fontana circolare costruita poco dopo l’apertura del nuovo acquedotto (1898), ribattezzata sprezzantemente fontana “delle grasselle” (cioè delle ranocchie) dal cronista del “Centrale” Luigi Medori, che condusse la battaglia d’opinione pubblica che portò al suo smantellamento un paio d’anni più tardi. La piazza non ha visto l’avvicendamento solo di portici, edifici e sedi amministrative, ma anche di molti nomi. A partire da piazza “delli Bovi” e piazza “di sopra” nei secoli XVI e XVII, piazza “grande” e piazza “dell’olmo” nel XVIII secolo (dal grande olmo che sorgeva pressappoco dov’è stato ripiantato); piazza “della Croce” (dall’erezione, durante la prima Restaurazione, di una grande croce dove prima c’era l’albero della libertà voluto dai francesi), poi divenuta piazza “Napoleone” (dalla statua di Giuseppe Napoleone, eretta al posto della croce nel 1806) e rinominata “piazza Grande” con il ritorno dei Borboni. Infine, alla morte di Vittorio Emanuele II (1878), si chiamò con il suo nome, per divenire solo successivamente piazza Martiri della Libertà. Dopo l’abbattimento, in epoca fascista, delle case a ridosso del duomo, il più recente intervento urbanistico sulla piazza è stato quello di ripavimentazione portato a termine, nel 2003, dall’amministrazione Sperandio.
Da sinistra, la prima cosa che si vede sono i “portici bassi”: dopo il 1920, l’edificio fu rialzato. Procedendo, l’edificio che risalta è quello dei portici Costantini (per intenderci, i portici detti “di Fumo”), allora sede della Banca Mutua Popolare e, più tardi, degli uffici del Comune. I portici ospitavano il caffè Modernissimo, poi divenuto caffè Italia e successivamente Grande Italia. Precedentemente, al posto dei portici Costantini, sorgevano la casa e i portici Pompetti: l’edificio, dopo aver subito una parziale demolizione nel 1888 e un crollo nel 1892, fu abbattuto all’inizio del ’900.
Il terzo edificio da sinistra è casa Ginaldi, che, dopo aver ospitato la sede della Banca Mutua Popolare, accolse nei suoi locali la trattoria della “Sposetta” e l’assicurazione Rolli. Sotto i portici c’era la cappelleria Rubini, già lì dal 1899 e restaurata negli anni ’20. A fianco di casa Ginaldi si intravede casa Rozzi, mentre, spostandosi sulla destra, il primo edificio che spunta è una delle case del Capitolo aprutino, volute dalla diocesi, che ricavava degli utili dagli affitti.
A fianco il palazzo del Vescovado, che aveva il suo ingresso non sul lato di piazza Vittorio Emanuele, ma sul lato sud dell’edificio. La terza costruzione da destra è casa Mancini, dove aveva sede non solo la tipografia dell’editore Giovanni Fabbri, ma anche la redazione del “Centrale”, il giornale più letto in città.
«La redazione del giornale», racconta un aneddoto Fausto Eugeni della biblioteca Delfico, «sorgeva all’angolo tra via del Leone, dove aveva il suo ingresso, e via della Verdura, dove affacciavano le sue finestre: coloro che vi scrivevano erano soliti presentarsi come quelli del giornale di via del Leone e classificare gli avversari (allora a Teramo ce n’erano diversi) come quelli dei fogliacci di via della Verdura».
Questo è ciò che la foto mostra, non potendo offrire una veduta globale della piazza, da cui sono esclusi altri edifici, tra i quali il lato sud del Duomo e, sull’altro lato, la casa Ponno-Rapinii (l’edificio a fianco all’odierno caffè dell’olmo), sede del primo ufficio postale dal 1869 al 1879 e poi del Credito Italiano.
Già scomparsa, ai tempi dello scatto, la fontana circolare costruita poco dopo l’apertura del nuovo acquedotto (1898), ribattezzata sprezzantemente fontana “delle grasselle” (cioè delle ranocchie) dal cronista del “Centrale” Luigi Medori, che condusse la battaglia d’opinione pubblica che portò al suo smantellamento un paio d’anni più tardi. La piazza non ha visto l’avvicendamento solo di portici, edifici e sedi amministrative, ma anche di molti nomi. A partire da piazza “delli Bovi” e piazza “di sopra” nei secoli XVI e XVII, piazza “grande” e piazza “dell’olmo” nel XVIII secolo (dal grande olmo che sorgeva pressappoco dov’è stato ripiantato); piazza “della Croce” (dall’erezione, durante la prima Restaurazione, di una grande croce dove prima c’era l’albero della libertà voluto dai francesi), poi divenuta piazza “Napoleone” (dalla statua di Giuseppe Napoleone, eretta al posto della croce nel 1806) e rinominata “piazza Grande” con il ritorno dei Borboni. Infine, alla morte di Vittorio Emanuele II (1878), si chiamò con il suo nome, per divenire solo successivamente piazza Martiri della Libertà. Dopo l’abbattimento, in epoca fascista, delle case a ridosso del duomo, il più recente intervento urbanistico sulla piazza è stato quello di ripavimentazione portato a termine, nel 2003, dall’amministrazione Sperandio.