Teramo
Maxi ammanco all’ufficio postale di Teramo: 4 anni e 6 mesi all’ex direttore
L’uomo era accusato di aver fatto sparire 463mila euro dallo sportello di via Noè Lucidi. Il tribunale lo condanna anche a un risarcimento danni di 530mila euro all’azienda, parte civile
TERAMO. E’ con una condanna a 4 anni e 6 mesi e al pagamento di un risarcimento danni di 530mila euro che si chiude il processo di primo grado a carico di Cosimo Di Tanno, ex direttore dell’ufficio postale di via Noè Lucidi, accusato di peculato per aver causato un ammanco di 463mila e 400 euro. La sentenza è stata emessa ieri mattina dal collegio presieduto da Giovanni Spinosa (a latere Roberto Veneziano e Belinda Pignotti) dopo che il pm Davide Rosati aveva chiuso la sua requisitoria con una richiesta di sei anni. Nell’ultima udienza (quella di ottobre) Di Tanno inizialmente si era sottoposto all’interrogatorio del pm sostenendo di aver fatto tutte le operazioni alla presenza di altri dipendenti dell’ufficio, ma dopo poco tempo aveva deciso di interrompere la sua deposizione. In quell’occasione il pm Rosati aveva chiesto la trasmissione di alcuni atti alla procura per falso per la verifica di una firma su un verbale.
I fatti contestati a Di Tanno, ex sindacalista che dopo l’avvio dell’inchiesta è stato trasferito ad altro ufficio, si sono verificati in un periodo compreso tra giugno del 2009 e ottobre del 2011 e sono avvenuti nell'ufficio postale di via Lucidi. L'indagato ha sempre respinto ogni accusa, affermando che si è trattato di un'anomalia nel funzionamento del bancoposta.
A questo proposito i giudici del tribunale del Riesame, che all’epoca hanno respinto il ricorso del dipendente contro il sequestro di computer e documenti ordinato dalla Procura, hanno scritto: «Al considerevole importo si è addivenuti con il passare del tempo senza che siffatte anomalie, delle quali l'indagato ha dichiarato, in sede di verifica a sorpresa, di essere a conoscenza, fossero mai state dallo stesso segnalate nonostante la posizione di custodia rivestita nella giacenza del cash dispencer e l'obbligo sul medesimo incombente di verificare costantemente le operazioni».
La denuncia delle Poste è scattata dopo un' ispezione interna. Secondo l’accusa il modus operandi potrebbe essere stato quello di aver caricato, per esempio, 5mila euro inserendo la cifra sul computer ma distraendo una somma sempre uguale. Sul computer dell'ufficio appare la somma caricata ma nel medio periodo si crea una differenza tale da non poter più caricare denaro, perché è stato superato il limite di giacenza nello sportello automatico anche se, in realtà, dentro il contante non c’è. Alle Poste, che si sono costituite parte civile, il tribunale ha riconosciuto il pagamento di 530mila euro di risarcimento danni, mentre ha respinto la richiesta di provvisionale immediatamente esecutiva.