Mobilifici, persi 98 posti in un solo mese
La Las deve licenziare 42 operai: si è ristrutturata, ha potenziato l’export ma il crollo del mercato interno è verticale
TERAMO. Novantotto posti di lavoro persi in poco più di un mese. Così si apre il 2014 per due comparti che fanno capo al settore costruzioni, cioè il mobile e i manufatti in cemento. A segnalare che la crisi è tutt’altro che finita è Silvio Amicucci, segretario della Fillea Cgil. «La crisi continua ferocemente a ridurre numero di posti di lavoro in provincia. Dall’inizio dell’anno abbiamo perso 98 posti peraltro in soli due settori, non considerando tutte le costruzioni, perchè se ci consideriamo l'edilizia la situazione peggiora ancor di più», osserva il sindacalista che fa notare anche come, accanto alla “mortalità”, ci sia anche una “natalità” delle imprese, «ma le nuove sono sempre più piccole e creano meno posti di lavoro di quelle chiuse».
Fra le aziende che hanno licenziato a gennaio, Amicucci fa due esempi, emblematici di come alcune dinamiche che si sono innescate a livello nazionale abbiano dirette ripercussioni in ambito locale.
Il primo è il caso della Las Mobili di Tortoreto, colosso nella produzione di mobili per ufficio che ha licenziato 42 persone a gennaio. «E’ un’azienda estremamente dinamica che per reagire alla crisi, ha provato a fare innovazione di prodotto, ad agire sull'area commerciale e sull'organizzazione interna», spiega, «e questo impegno ha prodotto risultati: rispetto al fatturato storico dei “tempi d’oro” l’export è stato addirittura incrementato, di più 2 milioni. Ma è crollato il mercato interno, non solo per gli effetti della crisi genericamente detta, ma proprio perchè i mobili per ufficio hanno poco mercato: la pubblica amministrazione a non acquista più, il privato nemmeno». E così da gruppo fiorente che dava lavoro a 360 persone, prima sono stati mandati via i 60 contratti a tempo determinato, poi ci sono state diverse “ondate” di mobilità fino ad arrivare a 175 dipendenti. «L’azienda ha fatto il possibile, contrattando i piani con i sindacati, iniziando dalla riduzione dei costi fissi derivanti dagli ampi spazi (accorpando settori diversi, ndr). Ma devono arrivare provvedimenti straordinari che peraltro sono semplici: questo Paese si deve decidere a fare una politica industriale, individuando strategie su come riaprire il mercato interno».
Altro caso emblematico è quello della Mobilcentro, piccola falegnameria di Atri che ha licenziato tutti e tre i suoi dipendenti. Un’azienda che risorge dalle sue ceneri: ha infatti affittato a un’altra impresa che vi insedierà la produzione. «In questo caso l’azienda ha subito il classico “effetto domino”: aveva fra i clienti Aiazzone che è stata dichiarata fallita e non ha saldato i conti. Ma quando l'azienda va in crisi perchè non le sono state pagate le commesse, le banche tagliano il credito, anche se l’impresa in questione è sana e ha mercato. Di solito, anche se non è questo il caso, fa ricorso al concordato in bianco, per poi vedere se farlo in liquidazione o in continuità e nel frattempo dà in affitto l'azienda per ricominciare da capo».
Amicucci osserva che ci sono «altre situazioni drammatiche all'orizzonte, aziende che con casse integrazioni a zero ore stanno provando a resistere, ma durerà poco: siamo al sesto anno di crisi. Con la riforma titolo quinto la politica industriale è stata data alle Regioni, che non ci riescono. La Regione Abruzzo non ha fatto nulla e l'effetto si vede: deve farsi promotrice per ottenere dal governo provvedimenti specifici. Ad esempio allentare patto stabilità o cambiare modello di sviluppo non più basato sul consumo del territorio: non è possibile appena piove ci scappano i morti».
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