delitto irrisolto
Nereto, omicidio Masi, 10 anni senza un perché
Il massacro dell’avvocato e della moglie resta un mistero, è stata esclusa anche l’ipotesi di una rapina degenerata
NERETO. E’ una notte infinita quella tra il 1º e il 2 giugno del 2005. Una notte lunga dieci anni piena di racconti contrastanti, interrogativi senza risposte, brandelli di verità. Che emergono a fatica. Anche nei dieci faldoni che raccontano l’omicidio dell’avvocato Libero Masi e della moglie Emanuela Chelli, entrambi 57enni, massacrati a colpi di machete nella loro villa di Nereto. Tanti perchè senza risposte e nessun colpevole negli atti di un’indagine chiusa e riaperta due volte. Fino all’archiviazione del maggio 2010 firmata dall’allora gip di Teramo Guendalina Buccella. La polvere ha fatto una crosta infrangibile: nessuna prova certa allora, nessuna novità dopo. Quei dieci faldoni raccontano, senza riuscire a spiegarla, la morte di un uomo e di una donna amati e stimati. E il dolore, straziato e riservato, di due figli. L’omicidio Masi resta un mistero con mille ipotesi e nessuna certezza. Nemmeno quella di una rapina. Nel decreto di archiviazione, infatti, il gip spazza via anche quella che è rimasta l’unica convinzione di investigatori e inquirenti, l’unica dopo aver escluso la vendetta personale o quella professionale.
Non fu una rapina. Per anni si è pensato che trentamila euro, parte dei quali incassati come parcelle dall'avvocato la sera prima di essere ucciso nella sua villetta di Nereto, fossero stati portati via dagli assassini. Nel provvedimento d'archiviazione, però, si rivela che in realtà quei soldi sono stati ritrovati nel 2009 in una scatola di scarpe nascosta tra i libri di casa Masi. «Quanto all'ipotizzata rapina», ha scritto il gip, «gli accertamenti davano esito negativo, non potendo, poi, trascurare, il significato del successivo rinvenimento della somma che l'avvocato aveva riscosso il pomeriggio dell'omicidio».
I cinque indagati. Archiviati i cinque sospettati: tre marsicani e due teramani. I marsicani sono gli stessi che cinque mesi dopo il delitto di Nereto vennero arrestati e poi condannati (prima all'ergastolo e in secondo grado a 30 anni) per l'omicidio di Roberto Manni, commerciante di Morino. «Le indagini», è scritto nel decreto di archiviazione, «hanno consentito di escludere la loro presenza nella zona di Nereto in epoca compatibile con il delitto, di apprezzare l'incompatibilità dell'ascia rinvenuta nella loro abitazione con quella usata nella villetta di Nereto e di accertare che le impronte dei tre non corrispondono a quelle trovate in casa Masi». Per i due teramani, indagati dopo le dichiarazioni di un ex collaboratore di giustizia ucciso due anni fa ad Arezzo,il gip ha scritto che «le indagini hanno consentito di verificare il carattere calunnioso delle notizie fornite». Il delitto dei coniugi Masi resta senza colpevoli.
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