«Non l’ha uccisa per sesso»
Melania: Il pg chiede l’ergastolo bis per Parolisi, ma la sentenza sul delitto va riscritta
L’AQUILA. I processi penali accertano responsabilità individuali e la colpevolezza richiede una prova piena. Sempre. Per il procuratore generale quelle raccolte contro Salvatore Parolisi bastano, pur in quadro indiziario ben delineato e nonostante quelle che non esita a definire «le motivazioni carenti della sentenza di primo grado», per chiedere in Appello la conferma dell’ergastolo per l’omicidio della moglie Melania Rea.
Perchè, argomenta il pg Romolo Como,non può che essere stato lui ad uccidere. Perchè tutto porta a lui, perchè di altri possibili colpevoli non è mai esistita nemmeno l’ombra, perchè nessun altro poteva avere un movente. Che, sostiene Como, non è quello del raptus per il rapporto sessuale negato messo nero su bianco nelle motivazioni di primo grado, ma quell’imbuto passionale in cui Parolisi è finito stretto tra le richieste dell’amante e i sospetti della moglie.
In un palazzo blindato, davanti all’ immancabile selva di tv ma senza il contorno di folla del primo grado, parte il processo bis per l’ex caporalmaggiore condannato in primo grado all’ergastolo dopo un rito abbreviato. Lui, jeans e camicia, smagrito, prende appunti e resta in aula dalle 9 alle 18. Nove ore durante le quali le motivazioni della sentenza emessa dal gip Marina Tommolini diventano, nelle parole del procuratore generale, «imprecise e male impostate» ma senza «che l'eventuale difetto comporti qualcosa sulla sentenza». Como è chiaro: l’impianto accusatorio tiene, è solido a tal punto da poter chiedere nuovamente il carcere a vita, ma le motivazioni vanno riviste. Per delineare meglio il movente, per chiarire definitivamente la presenza di Parolisi a Colle San Marco. Posto nel quale per gli inquirenti non è mai stato, ma che invece, secondo la Tommolini, lo ha visto presente insieme alla moglie e alla figlia prima di andare a Ripe. E Como anche qui aggiunge: «il fatto che qualcuno dica di averlo visto a Colle San Marco non significa che ci sia stato». Altro elemento fondamentale nella ricostruzione processuale dei fatti: perchè per gli inquirenti l’ex caporal maggiore sostiene di essere stato a Colle San Marco per crearsi un falso alibi. Perchè i processi fissano per sempre circostanze di fatto che diventano cruciali nel formulare una verità giudiziaria. Che, senza prova regina e confessione, resta quella che consente di ricostruire fatto e reponsabilità in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione.
E i tecnicismi giudirici raccontano di una udienza iniziata alle 9 con la relazione del giudice a latere Armanda Servino : due ore per ricostruire, passo dopo passo, il fatto, l’attività investigativa, la sentenza di primo grado, per illuminare zone d’ombra e circostanziare, con precisione e attenzione, la cronologia degli eventi. La Corte, presieduta da Luigi Catelli, si è riservata sulle richieste della difesa di Parolisi: si saprà solo nella giornata di lunedì, cioè nel corso della terza ed ultima udienza se ci sarà un nuovo approfondimento sulle prove a carico dell'imputato a cominciare da una perizia su alcune impronte di sangue. Dice l’avvocato Nicodemo Gentile, difensore insieme a Valter Biscotti e Federica Benguardato, «abbiamo chiesto un approfondimento di indagini alla luce del fatto che vogliamo dimostrare che ci sono ancora punti oscuri. Perchè esiste un contrasto su prove decisive tra i Ris e i giudici, uno dice che ci sono impronte dei piedi e uno dice che ci sono impronte di mani. Chiediamo se sono piedi di chi sono, se sono mani di chi sono. La richiesta di conferma dell’ergastolo non ci impressiona, ma confidiamo nell'equilibrio della Corte». Aggiunge Biscotti: «quella contro Parolisi è un’accusa mobile che cambia sempre, ma questo è un segno di debolezza dell’impianto accusatorio».
Per Mauro Gionni, legale della famiglia Rea insieme a Franca D’Amario, che ieri ha arringato per tre ore «la partita processuale sulle aggravanti è molto importante, perchè se non vengono confermate le aggravanti non si può applicare la sentenza all'ergastolo». E per questo, nel suo lungo intervento, Gionni porta in aula le foto dei segni inferti sul corpo di Melania dall’assassino tornato un giorno dopo il delitto a Ripe di Civitella. Per oltraggiare, per depistare.
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