Teramo
Obbliga i figli a lasciare la scuola e a filmarlo mentre li picchia: a processo
Finisce dal giudice padre-padrone di Silvi accusato di maltrattamenti anche sulla moglie. Il pm: ha costretto il minorenne a lavorare e vietato l’università alla più grande
TERAMO. Le famiglie possono essere inferni. La retorica di chi la vuole luogo di cura e tutela a priori e a prescindere non sta nel quotidiano. Perchè i genitori non li scegli e puoi crescere con un padre che a 14 anni ti obbliga a lasciare la scuola per lavorare, vieta a tua sorella di frequentare l’università e la costringe a filmarlo mentre picchia te e tua madre.
E’ la cronaca di un rinvio a giudizio a raccontare una storia che sembra uscita da una pagina di Gavino Ledda. Lui, un 52enne di Silvi (difeso dall’avvocato Marco Sgattoni), andrà a processo: così ieri mattina ha deciso il gup Roberto Veneziano. La prima udienza si svolgerà ad ottobre con la moglie e i figli che saranno parte civile (assistiti dall’avvocato Maria Teresa Salbitani). L’uomo è in carcere da marzo dopo che il Riesame ha respinto il ricorso della difesa.
L’inchiesta del pm Laura Colica affonda nel vissuto di una famiglia terrorizzata per anni dall’agire di marito e padre. Accuse pesanti (da dimostrare nel corso del dibattimento) quelle che il pubblico ministero mette in fila in un circostanziato capo d’imputazione. «Maltrattava in più occasioni il figlio minore minacciandolo di morte, offendendolo, aggredendolo con violenza», si legge nel provvedimento, «percuotendolo con schiaffi, pugni e calci per futili motivi, costringendolo a lavorare con lui ed impedendogli di andare a scuola, ingenerando nello stesso un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, un fondato timore per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari e modificando il suo stile di vita». E affonda: «Lo percuoteva ripetutamente con schiaffi e pugni sulla testa; spesso lo percuoteva per futili motivi, ,lo maltrattava rivolgendogli delle frasi umilianti e lo minacciava di morte con frasi del tipo: «frocio, bastardo, io ti ammazzo, ti uccido, non servi a niente».
L’inchiesta è scattata dopo alcune segnalazioni arrivate ai servizi sociali che si sono immediatamente messi in moto e hanno cominciato a raccogliere elementi diventati, con l’andare avanti, un pesante atto d’accusa. Si legge ancora nel capo d’imputazione: «Maltrattava la figlia in più occasioni costringendola ad assistere alle scene di violenza nei confronti del fratello minorenne e della madre, aggredendola verbalmente con frasi umilianti, costringendola a vivere in un clima familiare compromesso e anche a causa del suo abuso di sostanze alcoliche, costringendola ad interrompere gli studi universitari a causa delle forti pressioni vissute nell’ambito familiare, ingenerando nella stessa un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, un fondato timore per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari e modificando il suo stile di vita tanto da costringerla ad effettuare delle videoriprese in cui i suoi familiari venivano maltratti». Videoriprese acquisite nel corso delle indagini e finite agli atti di un processo che proverà a raccontare l’inferno di una famiglia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
E’ la cronaca di un rinvio a giudizio a raccontare una storia che sembra uscita da una pagina di Gavino Ledda. Lui, un 52enne di Silvi (difeso dall’avvocato Marco Sgattoni), andrà a processo: così ieri mattina ha deciso il gup Roberto Veneziano. La prima udienza si svolgerà ad ottobre con la moglie e i figli che saranno parte civile (assistiti dall’avvocato Maria Teresa Salbitani). L’uomo è in carcere da marzo dopo che il Riesame ha respinto il ricorso della difesa.
L’inchiesta del pm Laura Colica affonda nel vissuto di una famiglia terrorizzata per anni dall’agire di marito e padre. Accuse pesanti (da dimostrare nel corso del dibattimento) quelle che il pubblico ministero mette in fila in un circostanziato capo d’imputazione. «Maltrattava in più occasioni il figlio minore minacciandolo di morte, offendendolo, aggredendolo con violenza», si legge nel provvedimento, «percuotendolo con schiaffi, pugni e calci per futili motivi, costringendolo a lavorare con lui ed impedendogli di andare a scuola, ingenerando nello stesso un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, un fondato timore per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari e modificando il suo stile di vita». E affonda: «Lo percuoteva ripetutamente con schiaffi e pugni sulla testa; spesso lo percuoteva per futili motivi, ,lo maltrattava rivolgendogli delle frasi umilianti e lo minacciava di morte con frasi del tipo: «frocio, bastardo, io ti ammazzo, ti uccido, non servi a niente».
L’inchiesta è scattata dopo alcune segnalazioni arrivate ai servizi sociali che si sono immediatamente messi in moto e hanno cominciato a raccogliere elementi diventati, con l’andare avanti, un pesante atto d’accusa. Si legge ancora nel capo d’imputazione: «Maltrattava la figlia in più occasioni costringendola ad assistere alle scene di violenza nei confronti del fratello minorenne e della madre, aggredendola verbalmente con frasi umilianti, costringendola a vivere in un clima familiare compromesso e anche a causa del suo abuso di sostanze alcoliche, costringendola ad interrompere gli studi universitari a causa delle forti pressioni vissute nell’ambito familiare, ingenerando nella stessa un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, un fondato timore per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari e modificando il suo stile di vita tanto da costringerla ad effettuare delle videoriprese in cui i suoi familiari venivano maltratti». Videoriprese acquisite nel corso delle indagini e finite agli atti di un processo che proverà a raccontare l’inferno di una famiglia.
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