Parolisi colpevole: 30 anni, ma in appello evita l'ergastolo

L'omicidio di Melania Rea, il caporale piange per la condanna bis e dice: "Non è giusto"

L’AQUILA. Nessuna confusione tra prove e indizi. Nessuna incertezza sul ragionevole dubbio. Anche per i giudici della Corte d’Appello dell’Aquila è stato Salvatore Parolisi ad uccidere la moglie Melania Rea. Otto ore di camera di consiglio servono per riformare solo parzialmente una sentenza di primo grado: non più ergastolo ma 30 anni. Risultato, secondo una prima interpretazione di tutti i legali, dell’ applicazione del rito abbreviato che prevede la riduzione di un terzo della pena senza la richiesta dell’isolamento diurno. Undici mesi dopo la sentenza del tribunale di Teramo, non cadono le aggravanti, resta il vilipendio e niente attenuanti generiche per l’ex caporal maggiore. Perchè i processi fissano per sempre circostanze di fatto che diventano cruciali nel formulare una verità giudiziaria. Che alle 20.25 prende forma nella lettura del dispositivo che i giornalisti sono autorizzati a seguire via audio nell’aula attigua a quella dove si svolge il processo a porte chiuse. Pochi istanti e le parole del presidente Luigi Catelli spingono Parolisi in un altro abisso. E in quell’altrove lo lasciano quando l’ex caporal maggiore piange e sussurra ai suoi avvocati: «Non è giusto». L’ex militare si aspettava l’assoluzione e nemmeno la cancellazione del fine pena mai riesce a sollevarlo. Non bastano neanche le parole dei difensori che gli annunciano ricorso in Cassazione «perchè nulla è ancora perduto».

E’ evidente che per capire i calcoli giuridici che hanno portato a determinare questa pena bisognerà aspettare le motivazioni preannunciate tra novanta giorni, ma la nuova condanna impone una riflessione: l’impianto accusatorio regge ancora. «Sono soddisfatto», dice a sentenza emessa il procuratore generale Romolo Como che nella sua arringa aveva chiesto la conferma dell’ergastolo pur con la necessità di rivedere le motivazioni di primo grado, «l’accusa ha retto. Ora attendo di leggere le motivazioni per conoscere i perchè della decisione». Perchè in un processo indiziario, che resta tale in assenza di confessione e prova regina, ogni vuoto va riempito. Perchè, dicono i giudici della Suprema Corte, la prova indiziaria deve consentire la ricostruzione del fatto e delle relative responsabilità in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione. E, evidentemente, nella lunga camera di consiglio iniziata a mezzogiorno e finita dopo le 20 gli indizi contro Salvatore Parolisi per i giudici sono rimasti gravi e concordanti. Otto ore in cui la Corte presieduta da Luigi Catelli ( a latere Armanda Servino con i sei giudici popolari) ha ripercorso tre giorni di udienze, tra le arringhe di avvocati e le dichiarazioni spontanee di Parolisi. «E’ stata dura», commenta all’uscita uno dei popolari mentre il cellulare della polizia riporta in carcere l’ex caporalmaggiore.

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