Processo Melania, giudici in camera di consiglio Oggi la sentenza: Parolisi può evitare l’ergastolo

Attesa all'Aquila per la sentenza d'appello sul delitto di Ripe di Civitella. Anche se sarà confermata la condanna, potrebbero cadere le aggravanti per il carcere a vita

TERAMO. Qualasiasi cosa ci sia dopo, Salvatore Parolisi sa che tutto quello che c’era da perdere lo ha già perso. Non il 26 ottobre del 2013, il giorno della condanna all’ergastolo, ma il 18 aprile del 2011, il giorno in cui la moglie Melania Rea è stata uccisa nel bosco di Ripe con 35 coltellate. L’ ex caporalmaggiore dell’esercito finito nel ventre di un delitto devastante più di una guerra, insegue la verità giudiziaria di un processo d’Appello che oggi è al capolinea. I giudici sono entrati in camera di consiglio intorno alle 11,30, nel pomeriggio la sentenza.

Nove faldoni raccontano, senza prova regina e confessione, perché per l’accusa l’assassino è lui. Prove indiziarie che, per il giudice di primo grado Marina Tommolini, hanno evidentemente consentito la ricostruzione del fatto e delle relative responsabilità in termini di certezza tali da escludere la prospettabilità di ogni altra ragionevole soluzione. Prove indiziare che hanno portato il pg Romolo Como a chiedere la conferma del carcere a vita, pur con la necessità, ha detto il magistrato, di rivedere le motivazioni della sentenza di primo grado. A cominciare da quelle sul movente: che per Como resta quello dell’imbuto passionale in cui Parolisi è finito tra le richieste dell’amante e i sospetti della moglie.

Per la difesa resta solo un castello di congetture ipotetiche e fantasiose, un’accusa mobile non provata che cambia di magistrato in magistrato: «Perchè Salvatore non era a Ripe, perchè nulla lo può provare». Il codice ricorda che è un rito abbreviato in fase d’appello nell’ambito del quale le parti non possono chiedere altre perizie, ma è solo la corte che ha la facoltà di concedere. E su questo la riserva sarà sciolta questa mattina, nell’ultima delle tre udienze del processo bis. Che si gioca non solo sulla colpevolezza o innocenza di Parolisi. I calcoli, che possono sembrare spietati ma sono dettati da regole ben precise, dicono che in questo secondo grado le aggravanti di un omicidio possono fare la differenza. Aggravanti che, oltre a quelle del vincolo di parentela, per Parolisi sono la minorata difesa e il vilipendio. Se non verranno confermate accusa e difesa sanno che la pena dell’ergastolo non potrà essere applicata. E quindi, in questo caso, condanna sì ma senza il fine pena mai. Scenari diversi, dunque, tutti supportati da tecnicismi giuridici che oggi saranno esaminati dalla corte composta da due togati e sei popolari (presieduta da Luigi Catelli, a latere Armanda Servino).

Lui, Parolisi, la sua verità l’ha detta ancora nelle dichiarazioni spontanee rese il giorno dell’arringa dei suoi difensori: tradiva Melania, ma l’amava e non l’ha uccisa. Per provarlo ha consegnato ai giudici le lettere scritte e ricevute nel 2010. Missive d’amore dopo il tradimento del caporalmaggiore. A sentirlo in aula anche il padre e il fratello di Melania. «Da due anni lo sentiamo dire le stesse cose», dice Gennaro Rea, «ma quello che le indagini hanno raccontato è cosa diversa. Gli abbiamo chiesto di dirci la verità ma lui non l’ha mai fatto.Nemmeno quando ci ha giurato di farlo. Ora aspettiamo e confidiamo nella giustizia. Abbiamo una bambina da crescere e a cui raccontare perchè non ha più la mamma».

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