Ristoranti teramani senza stelle: "È colpa nostra, ma non solo". Secondo voi qual è il perché?
Beccaceci: dobbiamo dare di più. Zunica: facciamo fatica perché periferici. Pompa e De Antoniis: clientela poco sensibile, lavora chi tiene i prezzi bassi. Manetta: richiesti parametri troppo costosi
TERAMO. «Colpa nostra? Non solo...». L'assenza di una "stella" teramana nel firmamento della ristorazione della guida Michelin raccoglie opinioni diverse tra gli operatori del settore. Chef e titolari di ristoranti storici o che si affacciano nel panorama dell'offerta enogastronomica provinciale spiegano l'esclusione, clamorosa per la forza ispiratrice del territorio teramano nella tradizione culinaria abruzzese, con una complessa coincidenza di fattori. Troppo facile prendersela con la qualità della cucina. Anzi, per la maggior parte degli addetti ai lavori non è proprio questo l'elemento penalizzante. «Le aree periferiche fanno sempre più fatica», spiega Daniele Zunica, proprietario dell'omonimo ristorante di Civitella del Tronto che era dato tra i candidati alla "stella", «gli ispettori della guida Michelin magari passano una volta e poi tornano dopo tre anni da queste parti». La differenza, insomma, è fatta dalle grandi infrastrutture viarie e ferroviarie che sulla direttrice tirrenica accelerano la mobilità. Castel di Sangro, roccaforte del guru Niko Romito, in questo senso sarebbe già più attrattiva rispetto al Teramano. «Abbiamo tutte le carte in regola», conclude Zunica, «non c'è un'altra spiegazione logica per l'esclusione».
Eppure, se il riconoscimento non arriva, serve di più. Ne è convinto Andrea Beccaceci, titolare del ristorante di Giulianova che è l'altra punta di diamante della ristorazione provinciale. «Dobbiamo fare autocritica», afferma, «qualcosa dentro di noi non funziona». Secondo lui non basta trincerarsi dietro l'idea che sbagliano gli altri. «Non so se è un problema di promozione o di visibilità», evidenzia Beccaceci, «forse non siamo ancora pronti a veicolare tutto quello che sappiamo offrire: speriamo di migliorare ma c'è anche bisogno che Michelin apra di più gli occhi sulla nostra realtà».
Per lo storico ristoratore teramano Paolo Pompa il territorio non sostiene proposte di alta qualità. «I teramani vanno fuori», dice, «e quando restano in città per mangiare vogliono spendere quattro soldi». Di questo passo chi non si rifugia nel mascheramento di prodotti a basso costo non può sopravvivere, figurarsi poi a puntare alla “stella”. «Non c'è sensibilità e mancano anche un po’ di talento e di tempo», conclude Pompa, «abbiamo tanti bravi chef ma nessuno eccellente».
La fragilità del tessuto economico e sociale è un fattore determinante anche per Alessandro De Antoniis. Lo chef proprietario di "Cipria di Mare" a Teramo evidenzia che «il territorio ha perso tutto o quasi il proprio indotto, ci stiamo impoverendo e questo determina un abbassamento generalizzato della qualità della proposta gastronomica». La conquista della "stella" costa, comporta un impegno in termini di servizio e d'ispirazione della cucina che difficilmente trova riscontro in una clientela poco informata o scarsamente acculturata in materia. «Alla fine lavora chi fa il prezzo più basso a prescindere da quello che si mangia», conclude De Antoniis, «nel mio lavoro ho centrato tanti obiettivi, ma a un certo punto ti devi fermare».
Nonostante questo, l'esclusione dei ristoranti teramani resta incomprensibile per Massimiliano Capretta, titolare e chef dell'Arca, ristorante gourmet di Alba Adriatica. «In altre guide siamo rappresentati e lo stacco con gli stellati non è così evidente», spiega, «francamente non sappiamo cosa ci vuole di più». Gennaro D'Ignazio, titolare della "Vecchia Marina" a Roseto vede, però, una sorta di rilassamento degli operatori teramani rispetto ai colleghi di Pescara, Chieti e L'Aquila. «Almeno in parte la colpa è nostra», precisa, «ci siamo addormentati sugli allori: la cucina abruzzese nasce da noi, ma gli altri sono andati avanti». La guida Michelin poi, secondo D'Ignazio, premia proposte diverse da quelle legate al territorio. «Non ci sarà mai un ristorante stellato che fa una proposta locale», chiarisce, «puntando sui prodotti a chilometro zero e sul rapporto qualità-prezzo».
Su questo aspetto insiste anche lo chef di "Bistrot 900" a Giulianova Enzo Di Pasquale. «Siamo rimasti troppo ancorati alla nostra grande tradizione», chiarisce, «non abbiamo voglia di scoprire altri itinerari». In provincia, insomma, manca una vera avanguardia della ristorazione che sia aperta alle sollecitazioni esterne. «Da noi si cucina bene», fa notare lo chef, «ma non c'è evoluzione e Michelin lo nota».
Secondo Marco Manetta, chef dell'omonimo ristorante di Roseto, ci sono però tante sfumature che fanno la differenza per l'attribuzione della stella. «Servono parametri specifici molto stringenti ed economicamente impegnativi», sottolinea, «oggi come oggi la priorità è lavorare, non tanto puntare ai riconoscimenti delle guide».
Il problema non è nella qualità della cucina a detta di Emanuela Tommolini, chef dell'osteria vegetariana e vegana "Esprì" di Colonnella. «Non abbiamo nulla di meno rispetto agli altri per questo aspetto», afferma, «forse ci manca un'entità forte, originale, un ristorante che abbia la struttura per ottenere la stella».
©RIPRODUZIONE RISERVATA