Roseto, riaperta l'inchiesta sull'area ex Monti
Il gip ordina alla Procura: "Va identificato chi ha violato la legge"
ROSETO. L'inchiesta sull'area ex Monti di Roseto non può essere chiusa, «apparendo evidenti le irregolarità-illiceità poste in essere (da soggetti allo stato non compiutamente identificati) in occasione del cambio di destinazione d'uso-riqualificazione-ristrutturazione della zona industriale». Lo scrive il gip Giovanni de Rensis nell'ordinanza con la quale rimette gli atti nelle mani della Procura. Alberto Rapagnà, il costruttore rosetano che nel 2007 presentò un esposto alla magistratura, esulta e scrive in una nota: «Finalmente la verità giudiziaria sul Prusst dell'area ex Monti vedrà la luce dopo due richieste di archiviazione, due opposizioni alle stesse archiviazioni e due articolati e fondati rigetti». Il primo no all'archiviazione era stato del gip Marina Tommolini.
Rapagnà esulta, l'inchiesta ricomincia daccapo. La verità giudiziaria è ancora lontana, ma l'ordinanza di de Rensis ha tutta l'aria di una sentenza. Il giudice infatti scrive: «Sfruttando la via preferenziale concessa dalla normativa allorquando vengono predisposti dei Prusst finalizzati al perseguimento di un interesse pubblico, era stato deciso dall'amministrazione rosetana (con la concorde volontà della Regione Abruzzo) di riqualificare l'area industriale. Partendo dal presupposto che la città era priva di alcune strutture pubbliche, la riqualificazione avrebbe dovuto portare alla realizzazione - di qui le facilitazioni previste - di una nuova struttura in parte destinata ad uso privato ed in parte destinata ad uso pubblico (a disposizione dell'amministrazione pubblica per la realizzazione di una biblioteca e per il riaccorpamento di uffici comunali). Invece, dopo che la figura della Regione Abruzzo era (illegittimamente) del tutto scomparsa dai provvedimenti varati dal Comune, la progettazione-realizzazione delle strutture pubbliche era mano a mano scolorita nel panorama di quell'area industriale, fino a lasciare in primo piano soltanto la costruzione di nuovi edifici residenziali».
Insomma, per de Rensis non ci sarebbero dubbi che esista un reato. Quello che chiede il gip è di «identificare compiutamente tutti i soggetti i quali hanno posto in essere i provvedimenti (delibere di consiglio e giunta, provvedimenti di sindaco, assessori e dirigenti e tecnici comunali) che - in violazione di legge - hanno avuto concreta efficacia causale nella deviazione dalle finalità pubbliche primigenie». Allo scopo, il giudice ritiene «utile accertare eventuali rapporti di parentela, frequentazioni, collaborazioni lavorative, vicinanze partitico-politiche tra gli appartenenti all'amministrazione comunale ed i privati che hanno posto in essere la speculazione edilizia».
Rapagnà esulta, l'inchiesta ricomincia daccapo. La verità giudiziaria è ancora lontana, ma l'ordinanza di de Rensis ha tutta l'aria di una sentenza. Il giudice infatti scrive: «Sfruttando la via preferenziale concessa dalla normativa allorquando vengono predisposti dei Prusst finalizzati al perseguimento di un interesse pubblico, era stato deciso dall'amministrazione rosetana (con la concorde volontà della Regione Abruzzo) di riqualificare l'area industriale. Partendo dal presupposto che la città era priva di alcune strutture pubbliche, la riqualificazione avrebbe dovuto portare alla realizzazione - di qui le facilitazioni previste - di una nuova struttura in parte destinata ad uso privato ed in parte destinata ad uso pubblico (a disposizione dell'amministrazione pubblica per la realizzazione di una biblioteca e per il riaccorpamento di uffici comunali). Invece, dopo che la figura della Regione Abruzzo era (illegittimamente) del tutto scomparsa dai provvedimenti varati dal Comune, la progettazione-realizzazione delle strutture pubbliche era mano a mano scolorita nel panorama di quell'area industriale, fino a lasciare in primo piano soltanto la costruzione di nuovi edifici residenziali».
Insomma, per de Rensis non ci sarebbero dubbi che esista un reato. Quello che chiede il gip è di «identificare compiutamente tutti i soggetti i quali hanno posto in essere i provvedimenti (delibere di consiglio e giunta, provvedimenti di sindaco, assessori e dirigenti e tecnici comunali) che - in violazione di legge - hanno avuto concreta efficacia causale nella deviazione dalle finalità pubbliche primigenie». Allo scopo, il giudice ritiene «utile accertare eventuali rapporti di parentela, frequentazioni, collaborazioni lavorative, vicinanze partitico-politiche tra gli appartenenti all'amministrazione comunale ed i privati che hanno posto in essere la speculazione edilizia».
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