CORONAVIRUS
Storie di dolore e speranza dalla Val Fino “liberata” / VIDEO: LA LETTERA DI UN GUARITO
A Castiglione la testimonianza di un guarito: «È passata, ma ho perso degli amici». A Castilenti la storia di una donna che da 37 giorni non vede il marito ricoverato
VAL FINO. Qui dove tutto è cominciato tra il vivere e il morire sono cambiati la scansione del tempo e gli orizzonti quotidiani. Nella Val Fino ex zona rossa, che il 25 aprile festeggia la sua Liberazione, le storie di dolore e di speranza scandiscono presente e futuro. Perché in questa terra di confine in cui più che altrove le vittime si chiamano zii, nonni, fratelli, chi arriva tocca con mano la consapevolezza, composta e dolorante, che nulla sarà come prima.
Lo sa bene Antonio D’Alonzo, 63 anni, ex dipendente comunale di Castiglione Messer Raimondo, da agosto scorso in pensione. I primi giorni di marzo il contagio, poi la spossatezza, l’affanno sempre più forte, l’ossigeno a casa che non aiuta più di tanto fino al ricovero. Dimissioni il 27 marzo, dopo isolamento domiciliare e dal 14 aprile finalmente a casa dopo due tamponi negativi.
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Le parole si muovono tra le ferite e le lacrime scendono libere a raccontare quello che Antonio non potrà più scordare. «L’amore e la dedizione dei miei tre figli e di mia moglie Antonietta, la professionalità e l’umanità di medici e infermieri dell’ospedale di Atri, la vicinanza del sindaco D’Ercole che chiamava ogni giorno per sapere come stavo» racconta nella sua casa di contrada San Giorgio. E poi il ricordo, caro e commosso, di chi non c’è più. «Gli amici che ho perso, quelli che non rivedrò più» ti dice Antonio che ora ha bisogno di un sospiro, di una pausa. Perché quello che prima sembrava lontano, altrove, è arrivato con la violenza dirompente dell’inevitabilità a squassare per sempre un quotidiano che non c’è più. Come quello di nonna Clara a cui il 1° aprile è nata la quarta nipotina a Pescara che ha visto solo nelle foto. «I nipoti mi mancano tanto», ti dice affacciata dal balcone, «ma questa epidemia ci ha stravolto». A Castiglione, che con i suoi 14 morti ha pagato il prezzo più alto, così come altrove in questa vallata dove i paesi si sfiorano e dove la gente si conosce da sempre.
Lucia Bandini vive a Castilenti. Ha 57 anni, due figli grandi e un marito che non vede da 37 giorni. Da quando il suo Domenico (Domenico De Sanctis) è entrato in ospedale dopo che il sindaco del suo paese Alberto Giuliani chiamò i carabinieri per farlo ricoverare. «Sta meglio», dice oggi Anna che da 50 giorni è chiusa in casa in attesa di fare altri tamponi, «ha festeggiato il suo compleanno di 61 anni da solo. Ci sono le telefonate, le videochiamate, ma è tutto così innaturale che non sembra vero».
Lei è in attesa dell’ennesimo tampone che confermi la sua guarigione. Quelli dell’11 e del 16 aprile sono risultati negativi, ne ha fatto un altro appena qualche giorno fa e ora, molto probabilmente, ne dovrà fare ancora un altro. «Ma nessuno mi ha ancora chiamato» racconta sulla porta di casa, nel palazzo all’ingresso di Castilenti che in questo 25 Aprile piange i suoi sei morti.
A Bisenti la speranza è negli occhi di Antonio Olivieri e di sua moglie Valeria. Nella casa all’ingresso del paese campeggia il grande telo con l’arcobaleno e la scritta “Andrà tutto bene” che in questi mesi ha unito lo Stivale da nord a sud. Antonio e Valeria hanno due bambini piccoli e, da genitori, una sfida in più: spiegare senza cedere ad allarmismi. «Non è facile, ma nessuno si arrende », dice Antonio che nella vita si divide tra la piccola azienda agricola di famiglia in cui produce farina e pasta di qualità con grano del posto e il lavoro in un’azienda e per cui ora è in cassa integrazione, «oggi va meglio di ieri, domani di più». Lo ribadisce con forza il 72enne Pietro D’Agostino. Anche se in questa vallata niente sarà più come prima.
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