Sviluppo Italia, in arrivo 17 licenziamenti

La società è in liquidazione, i dipendenti sembrano condannati al precariato e presentano un ricorso in tribunale

TERAMO. Sono 17 e per loro non c’è alcuna levata di scudi, anche se a breve verranno licenziati. Sono i dipendenti di Sviluppo Italia Abruzzo. Hanno lavorato a lungo con il mondo delle imprese, gestendo progetti europei come propagine di Invitalia. Cospicue tracce della passata attività di Sviluppo Italia sono gli incubatori di Mosciano, Sulmona e Avezzano, oltre che l’ufficio dell’Aquila.

Ma la società ha iniziato a traballare con la Finanziaria del 2006, che prevedeva la cessione alle Regioni o ad altre amministrazioni pubbliche con la clausola della salvaguardia dei livelli occupazionali. E in Abruzzo si è scelta una strada irrituale, se non altro perchè non prevista dalla legge: la Regione ha autorizzato Abruzzo Sviluppo – una propria società “in house” – all’acquisizione del pacchetto azionario di maggioranza di Sviluppo Italia a un euro. Peraltro la Regione ha elargito 645mila euro per acquisire le quote dei privati, per cui peraltro sono stati spesi 245mila euro. E qui c’è stata una prima procedura di licenziamento, poi ritirata.

Per farla breve, quello che doveva essere un progetto di rilancio si è scontrato con il fatto che dalla Regione non è arrivata nessuna commessa per Sviluppo Italia. Non solo, nel 2014 è stato detto ai dipendenti che si devono ridurre gli stipendi, che erano troppo alti. E’ stato fatto, ma comunque non è arrivata nessuna commessa. Una morte annunciata, senza lavoro da svolgere e quindi senza entrate, tanto che il 22 luglio scorso la società è stata messa in liquidazione (per la terza volta) e senza esercizio provvisorio. E a giorni è atteso il licenziamento dei 17 dipendenti, che da maggio non percepiscono un euro: hanno 9 mensilità arretrate. «Ufficialmente i liquidatori non hanno detto nulla, ma hanno mandato delle lettere in cui si legge che dal 1° gennaio 2017 non presteranno attività per Abruzzo Sviluppo e Invitalia poichè la liquidazione lo impedisce», affermano i dipendenti. Che stanno disperatamente tentando di salvare il proprio posto di lavoro.

Tanto che hanno presentato un ricorso al tribunale dell'Aquila. «Nel ricorso», spiegano, «eccepiamo l'illegittimità della vendita del 2011 e chiediamo la retrocessione della partecipazione venduta ad Abruzzo sviluppo da Invitalia. Contestualmente chiediamo al giudice di obbligare Invitalia a venderla alla Regione o ad altro ente la società, come previsto chiaramente dalla Finanziaria del 2006. Ricordiamo che Abruzzo Sviluppo non è un'amministrazione pubblica, come invece stabilisce la legge. Il paradosso è che se allora la Regione non avesse disposto la cessione a un soggetto che non era nemmeno abilitato, Sviluppo Italia Abruzzo sarebbe stata liquidata e i dipendenti assorbiti da Invitalia, l'ex capogruppo, come accaduto in altre regioni d’Italia». Il 27 marzo si terrà la prima udienza. I lavoratori sperano molto nel ricorso, per evitare la condanna a un futuro da precari.

«Siamo disperati. Abbiamo capito che dobbiamo morire, metaforicamente, per salvare Abruzzo Sviluppo: siamo l'agnello sacrificale», commentano i lavoratori, «in sostanza con la vendita dei beni immobili di Sviluppo Italia, Abruzzo Sviluppo incasserà il valore della partecipazione esposto in bilancio, cioè 913.515 euro». Insomma, secondo il personale l’operazione servirebbe a ripianare delle perdite nei bilanci della società controllante. In più nessuno vuol farsi carico di assicurare un futuro ai lavoratori. «L’impressione è che vogliono portarci a licenziarci e darci un futuro da precari, che ci stiano togliendo l'ossigeno per costringerci ad accettare tutto. La nostra società è in crisi perchè loro l'hanno messa in crisi. E' una cosa che non ci si aspetta da un'istituzione. Abbiamo tutti dai 40 ai 60 anni e molti hanno figli piccoli. Pensare di avere un futuro “a partita Iva” è inquietante. Tutto questo per una situazione determinata dalla politica, che avrebbe dovuto tutelarci, non condurci verso il precariato».

©RIPRODUZIONE RISERVATA