Teramo, gioca ai cavalli e affama moglie e figlio
Cinquantenne a processo per maltrattamenti in famiglia. L’accusa della donna: «Voleva farmi prostituire»
TERAMO. E’ una vertigine indicibile di dolore e rabbia. Perchè raccontare non è mai facile. Lo sa bene la donna, l’ennesima, che davanti al giudice srotola la cronaca di sei anni di maltrattamenti, botte e abusi dell’ex marito «che perdeva i soldi scommettendo sui cavalli e lasciava me e mio figlio senza il denaro per mangiare». Racconta che «a casa il cibo si vedeva con il contagocce e che fin quando ho potuto ho lavorato per pagare i suoi debiti di gioco». Come commessa, come collaboratrice domestica «tutto quello che trovavo» mentre il marito, scrive il pm Laura Colica nel capo d’imputazione «la invitava a prostituirsi per poter pagare i suoi debiti di gioco».
Per l’uomo, un 50enne teramano imputato di maltrattamenti e violazione degli obbligi di assistenza familiare, la richiesta di rinvio a giudizio è un lungo elenco di accuse che diventano istantanee di un inferno nel racconto che la vittima fa davanti al giudice Flavio Conciatori. «Le minacce e le botte davanti a mio figlio erano all’ordine del giorno», racconta, «per mangiare siamo andanti avanti con i pacchi cibo dei servizi sociali e con la spesa che mi facevano i miei familiari. Metà del suo stipendio se ne andava per coprire i debiti di gioco perchè mio marito è una vittima della ludopatia ma lui continua a dire che non ha problemi». Circoscrive fatti e denunce «perchè non potrò mai dimenticare». Come quella volta che lui impugna un coltello e davanti al bambino le dice: «te lo ficco in testa». O quella volta che le sferra un pugno sul capo «così forte che ho temuto di far cadere mio figlio piccolo che avevo in braccio».
Racconta ancora che non ha denunciato subito, che non si è presentata da subito al pronto soccorso «perchè avevo paura, perchè poi a casa con lui ci stavo io». Ma non basta. Perchè l’uomo, scrive ancora il pm nella sua richiesta di rinvio a giudizio «ha costretto la moglie ad interrompere le cure mediche (psicologo) perchè non le dava il denaro per pagare le visite». In questo inferno a lei è successo anche di scoprire un cancro al seno, di essere sottoposta a più operazioni, di aver dovuto fare vari cicli di chemioterapia. «Quando i miei amici e miei familiari non potevano accompagnarmi a fare le sedute di chemioterapia», racconta, «prendevo l’autobus per raggiungere l’ospedale perchè lui non mi ha mai accompagnato. Per mangiare mi aiutavano gli amici e i familiari . La chemioterapia non è una passeggiata e in quel periodo sicuramente ero molto stanca. Lui mi diceva che facevo l’ospite e che in casa non c’era bisogno di un ospite. Voglio ribadire una cosa: stavo male ma anche con i tempi di una persona che sta male cercavo di fare i lavori di casa. Innanzitutto per mio figlio ma, nonostante tutto, non ho mai trascurato nè la casa nè lui». Ora i due vivono in alloggi diversi dopo un breve periodo di separati in casa «l’ho fatto soprattutto per il bene di mio figlio ma adesso sto cercando di riprendermi la vita». Dopo anni di botte, minacce, giornate ad aspettare i soldi per fare la spesa «perchè era lui che decideva come e quando». Lei, che nel processo si è costituita parte civile, è assistita dall’avvocato Nicola De Majo. Lui dall’avvocato Daniele Di Furia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Per l’uomo, un 50enne teramano imputato di maltrattamenti e violazione degli obbligi di assistenza familiare, la richiesta di rinvio a giudizio è un lungo elenco di accuse che diventano istantanee di un inferno nel racconto che la vittima fa davanti al giudice Flavio Conciatori. «Le minacce e le botte davanti a mio figlio erano all’ordine del giorno», racconta, «per mangiare siamo andanti avanti con i pacchi cibo dei servizi sociali e con la spesa che mi facevano i miei familiari. Metà del suo stipendio se ne andava per coprire i debiti di gioco perchè mio marito è una vittima della ludopatia ma lui continua a dire che non ha problemi». Circoscrive fatti e denunce «perchè non potrò mai dimenticare». Come quella volta che lui impugna un coltello e davanti al bambino le dice: «te lo ficco in testa». O quella volta che le sferra un pugno sul capo «così forte che ho temuto di far cadere mio figlio piccolo che avevo in braccio».
Racconta ancora che non ha denunciato subito, che non si è presentata da subito al pronto soccorso «perchè avevo paura, perchè poi a casa con lui ci stavo io». Ma non basta. Perchè l’uomo, scrive ancora il pm nella sua richiesta di rinvio a giudizio «ha costretto la moglie ad interrompere le cure mediche (psicologo) perchè non le dava il denaro per pagare le visite». In questo inferno a lei è successo anche di scoprire un cancro al seno, di essere sottoposta a più operazioni, di aver dovuto fare vari cicli di chemioterapia. «Quando i miei amici e miei familiari non potevano accompagnarmi a fare le sedute di chemioterapia», racconta, «prendevo l’autobus per raggiungere l’ospedale perchè lui non mi ha mai accompagnato. Per mangiare mi aiutavano gli amici e i familiari . La chemioterapia non è una passeggiata e in quel periodo sicuramente ero molto stanca. Lui mi diceva che facevo l’ospite e che in casa non c’era bisogno di un ospite. Voglio ribadire una cosa: stavo male ma anche con i tempi di una persona che sta male cercavo di fare i lavori di casa. Innanzitutto per mio figlio ma, nonostante tutto, non ho mai trascurato nè la casa nè lui». Ora i due vivono in alloggi diversi dopo un breve periodo di separati in casa «l’ho fatto soprattutto per il bene di mio figlio ma adesso sto cercando di riprendermi la vita». Dopo anni di botte, minacce, giornate ad aspettare i soldi per fare la spesa «perchè era lui che decideva come e quando». Lei, che nel processo si è costituita parte civile, è assistita dall’avvocato Nicola De Majo. Lui dall’avvocato Daniele Di Furia.
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