Teramo, il funzionario infedele rivuole il posto in ateneo
Di Giuseppe va in tribunale e contesta il licenziamento: secondo lui fu illegittimo perché prematuro Intanto ha patteggiato due anni e la Corte dei Conti gli ha ordinato di restituire 480mila euro
TERAMO. Non sono bastati l’arresto, il patteggiamento in tribunale di una pena di due anni e la recentissima condanna subita dalla Corte dei Conti a risarcire all’ateneo 480mila euro. Il 47enne teramano Tiberio Di Giuseppe, ex funzionario dell’università al centro di un clamoroso caso di peculato, potrebbe essere reintegrato nel suo posto di lavoro se vincerà la causa intentata per chiedere l’annullamento del suo licenziamento da parte dell’ateneo.
L’udienza davanti al giudice del lavoro è prevista per il prossimo dicembre. La tesi difensiva che verrà illustrata dall’avvocato di Di Giuseppe, Gennaro Lettieri, è che i vertici dell’università avrebbero licenziato per giusta causa il funzionario in modo illegittimo. L’ateneo avrebbe infatti utilizzato una normativa vecchia, peraltro non recepita nel proprio regolamento interno, invece di applicare la più recente legge Brunetta, in base alla quale il procedimento disciplinare – legittimamente avviato all’esplodere del caso – sarebbe dovuto essere sospeso in attesa del giudizio in tribunale. Di Giuseppe, invece, venne licenziato poco dopo l’arresto e ben prima del processo.
Di Giuseppe all'epoca dei fatti era responsabile dei trattamenti economici dell'ateneo. L'arresto, avvenuto nel 2010, gli era costato il posto di lavoro. Nel corso di un interrogatorio, l'ex impiegato era scoppiato a piangere confessando l'appropriazione di oltre 400mila euro, pare avvenuta in quattro anni. Aveva spiegato al giudice anche i meccanismi usati per accreditare sul suo conto corrente il denaro, gonfiandosi lo stipendio. Con sistemi informatici, che non risultavano sulla carta e quindi sfuggivano ai controlli periodicamente fatti dall'ateneo, avrebbe trasferito i soldi da un conto all'altro. All'epoca il suo conto corrente venne sequestrato, così come il computer di casa e quello dell'ufficio. Il procedimento disciplinare era partito all'inizio del 2010 dopo la denuncia fatta direttamente dagli uffici del rettorato. Alcuni funzionari, infatti, avevano notato degli ammanchi e per questo avevano avviato delle verifiche interne. Le indagini penali, affidate ai carabinieri, scattarono immediatamente utilizzando anche accertamenti bancari. E nel maggio 2010 Di Giuseppe venne arrestato.
A due anni di distanza da quei fatti, anche la giustizia contabile giorni fa ha emesso il proprio verdetto. La Corte dei Conti tira in ballo anche l'istituto di credito teramano dove l'ex funzionario aveva il conto. La condanna contabile si è estesa anche alla banca, che dovrà risarcire altri 40 mila euro all'università di Teramo. Ma la vicenda non è ancora finita: pur se il peculato commesso da Di Giuseppe non è più in dubbio, un giudice del lavoro potrebbe decidere che il suo licenziamento fu illegittimo.©RIPRODUZIONE RISERVATA