Teramo, la difesa di Parolisi: "Melania uccisa da un pazzo"
L'ex caporalmaggiore torna in aula tra due giorni per l'appello all'Aquila. L’avvocato Gentile anticipa al Centro la strategia della difesa: l’ergastolo può cadere
TERAMO. I punti deboli sono molti, spuntano tutti alla vigilia del processo all'Aquila. L'avvocato Nicodemo Gentile li anticipa in un'intervista al Centro. Alle 9,30 di mercoledì, Salvatore Parolisi sarà davanti ai giudici d'assise d'appello. La sua difesa spiega perché l'ex caporal maggiore, condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie Melania Rea, può sperare nel colpo di scena. I dubbi, che la sentenza di primo grado non ha chiarito, possono farlo assolvere.
Avvocato, chi ha ucciso Melania con 35 pugnalate nel bosco di Ripe di Civitella?
«Magari saperlo. Sicuramente la scena del delitto ci dice che qualcosa di diverso è accaduto il 18 aprile del 2010. Ci sono tracce inequivoche della presenza di altri soggetti. Le faccio tre esempi. Perline e brillantini trovati accanto al cadavere non sono di Melania. E’ il consulente della procura che lo afferma. L'impronta, repertata sul posto è, secondo il Ris, di una scarpa mentre per il giudice, Marina Tommolini, che ha inflitto l'ergastolo, è di una mano: la Corte dovrà chiarire questa contraddizione.
Il terzo indizio, più forte degli altri, è il segno di pneumatico, accanto al corpo, che non risulta dell'auto di Parolisi. La difesa non ha ipotesi alternative, anche perché non spetta a noi indicarle. Ma le ultime vicende penali, come il caso di Udine, ci portano a dire che nessuna altra ipotesi è da escludere a priori. Uno squilibrato può avere ucciso Melania Rea».
Perché lo avrebbe fatto?
«Non è da escludere che quei segni (svastiche e croci, ndr), incisi sul corpo di Melania, siano da ricondurre al mondo della caserma di Ascoli. Il vero movente, che sfugge ancora, può essere legato a quel luogo dove Parolisi lavorava. La procura militare di Roma ha sentito un pentito di camorra (le iniziali del suo cognome sono D’A.) che ha fatto nomi e cognomi circostanziati, ha parlato di droga e richieste sessuali, nei confronti delle ragazze-reclute, che hanno in parte trovato conferma».
Allora come si difenderà, fra due giorni, il suo assistito?
«Sarà libero di parlare con dichiarazioni spontanee e lo farà. Si è detto molto del falso alibi di Parolisi che, secondo la procura, non era a Colle San Marco di Ascoli con Melania e la figlioletta prima che la moglie sparisse. Ma è lo stesso giudice che ha scritto la sentenza a smentire i magistrati di Teramo. Lo dimostrano, afferma la Tommolini, i cani che hanno fiutato le sue tracce e una testimone. Quindi Parolisi non mente quando racconta della gita con Melania a Colle San Marco. Il falso alibi è solo un problema della procura.
La nostra difesa sarà forte e appassionata ma azzoppata perché questo processo ha perso dei reperti distrutti dai Ris. Mi riferisco al contenuto gastrico di Melania e alle larve, che servivano per stabilire l'ora della morte, ed ai capelli trovati sul corpo della vittima e che non appartenevano né a quest'ultima né al marito. La difesa è menomata: lo faremo subito presente. Ma sono certo che questa volta non ci sarà alcuna deriva emotiva da parte dei giudici».
Infine: quali sono le piste non battute dalla procura?
«Andava certamente identificato il telefonista. Era possibile farlo ma si sono arresi dopo aver sentito solo 12 voci per compararle a quella dell'uomo rimasto sconosciuto che permise di far ritrovare il corpo di Melania.
Il telefonista chiama il 113 dalla cabina di piazza San Francesco, a Teramo, alle 16,34 del 20 aprile 2010. E' la stessa persona che alle 7,39 di quel giorno raccoglie da vicino al cadavere il telefonino di Melania e l’accende? Se non è la stessa vuol dire che qualcuno era a Ripe con un intento preciso: avere accesso al cellulare della vittima. Ma Parolisi, alla stessa ora, si trovava a Folignano, davanti al computer. La sua passward segna le 7,20: l'assassino non è lui».
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