Teramo, la minaccia del capo rom: "Ti uccido come Fadani"
Aldo Levakovic lo dice a un agente di polizia penitenziaria: rinviato a giudizio. L’uomo, in carcere per furto, è il padre di uno dei condannati per l’omicidio
TERAMO. «Ti uccido come Fadani»: la minaccia rivolta all’agente di polizia penitenziaria è un urlo che squarcia la cella di Castrogno, quella in cui Aldo Levakovic, 45 enne rom di Giulianova, è rinchiuso per scontare una condanna definitiva a tre anni per furto. Succede a febbraio dell’anno scorso, nello stesso carcere in cui è rinchiuso Elvis Levakovic, figlio di Aldo, condannato a dieci anni per l’omicidio di Emanuele Fadani, l’imprenditore di Alba che la sera dell’11 novembre del 2009 venne ucciso con un pugno sferrato dopo una lite. Per quella minaccia giovedì Aldo Levakovic è stato rinviato a giudizio dal gup Domenico Canosa; per quella minaccia e per altri atteggiamenti avuti nei confronti degli agenti da mesi Levakovic non è più a Castrogno ma continua a scontare la sua pena in un altro carcere abruzzese. Nell’aprile del 2011 Levakovic venne arrestato in seguito ad un’ordinanza di carcerazione emessa dal tribunale di Macerata, in quanto ritenuto colpevole e condannato per un furto aggravato commesso a Civitanova Marche nel marzo del 1998. L’uomo, inoltre, è indagato in un’inchiesta sullo spaccio di dollari falsi nel quale è coinvolto insieme ad altre 14 persone, tra cui il figlio Elvis condannato in primo e in secondo grado per l’omicidio di Fadani. Secondo i giudici d’Appello a sferrare il pugno mortale è stato solo lui, ma moralmente sono responsabili anche gli altri due rom che la sera del delitto erano con lui: Sante Spinelli e Danilo Levakovic. Per questo i due, assolti in primo grado, per i magistrati aquilani devono scontare anche loro dieci anni di reclusione. Fadani, imprenditore 39enne di Alba, fu ucciso nel novembre del 2009 con un pugno al volto dopo una discussione con i tre per una dose di cocaina rifiutata. Un omicidio, quello di Alba, che scatenò una violenta rivolta contro i rom. «La reiterata richiesta di sostanza stupefacente», hanno scritto i giudici d’appello nelle motivazioni della sentenza, «prima all’interno del locale e poi all’esterno è stato il motivo scatenante dell’azione aggressiva successiva. La caratteristica che mette insieme il concorso morale dei tre, oltre al colpo sferrato da uno di loro, è l’agire congiunto». Per i giudici d’Appello, inoltre, così come aveva ipotizzato la procura teramana che aveva fatto ricorso contro la sentenza di primo grado che aveva assolto gli altri due rom, Fadani è stato colpito con un calcio anche quando era a terra. I giudici lo hanno collocato tra il pugno mortale e la morte dell’uomo, quando questi era steso ormai agonizzate sull’asfalto. (d.p.)
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