Teramo, malata di tumore muore prima della visita
La Asl le rifiuta i controlli a domicilio per certificare l'invalidità, lei viene stroncata dal cancro il giorno dopo
TERAMO. E' una storia triste, quella che racconta Bruno Fascioli. Racconta di come abbia perso da pochi giorni sua moglie. Ma racconta anche di come possa essere spietata e ingiusta la burocrazia. Una denuncia in memoria di sua moglie. «Lei era onesta, ci teneva al rispetto dei diritti, avrebbe voluto che raccontassi questa storia, anche per evitare che accada ad altri», premette l'uomo di Bellante.
La storia si compone di due parti, una burocratica, l'altra sanitaria.
La prima riguarda la richiesta di invalidità e dei benefici della legge 104 perchè la moglie, Liliana Di Daniele, era malata di cancro. «La richiesta l'abbiamo presentata il 3 gennaio e per legge entro 15 giorni i malati oncologici devono essere sottoposti a visita», racconta, «l'appuntamento alla Asl ce lo fissano il 31 gennaio. Ma non basta. Mia moglie sta male, non può andare: mando un certificato del medico di famiglia in quale scrive che serve la visita collegiale a domicilio. Io presento anche una richiesta ufficiale. Ma la non viene accettata. Forse pensavano che non dicessimo la verità. Infatti il 5 febbraio mi viene inviata una lettera in cui la Asl fissa una visita il 28 marzo al servizio di medicina legale di via Battisti. Peccato che il giorno prima, il 4, mia moglie stava tanto male, l'abbiamo portata in ospedale con gravissime difficoltà respiratorie. Il 6 febbraio è morta».
Il fiume di parole s'arresta e la commozione ha il sopravvento. Fascioli non commenta, si affida alla crudezza dei fatti e all'inoppugnabilità delle date.
Racconta poi l'aspetto sanitario della rapida fine di sua moglie, a soli 45 anni. Tutto inizia nel giugno 2010, quando sua moglie si fece una lastra ai polmoni in Belgio e c'era una macchia sospetta. Tornata In Italia, si fece una Tac, che evidenzia come la macchia si fosse ingrandita. Poi due broncoscopie e un un ago aspirato, con risultati negativi. Il medico però continua ad avere dubbi e fa un prelievo dal linfonodo ingrossato - è il 10 novembre - e la diagnosi immediata è di adenocarcinoma. Ma bisognava aspettare per la diagnosi finale e dopo un mese arriva: carcinoma del timo. La coppia fa consulti in altri ospedali, arriva a Perugia. «Qui ci dicono che forse è altro. Ci chiedono i vetrini dei prelievi all'ospedale di Teramo. Li inviamo e ci dicono di fare una mammografia: gliela invio. Il medico ci dice per telefono che è cancro del seno. Le dà, sempre per telefono, una cura ormonale, è fine gennaio. Ha appena iniziato, quando si sente male, il 4 febbraio. All'ospedale di Teramo, giustamente, ci chiedono la diagnosi scritta di quanto raccontavamo ci era stato detto a Perugia, ma non è mai arrivata. Mia moglie è morta e io non so ancora dove avesse il cancro».
Fascioli, operaio all'Alfagomma di Castelnuovo, è stato attorniato dalla solidarietà di azienda e colleghi, che hanno fatto una colletta. Il caso l'ha segnalato all'Arco. «Stiamo valutando con l'ufficio legale l'opportunità di procedere per capire che cosa è accaduto riguardo alla convocazione della commissione medica. Se c'è il certificato del medico non si capisce perchè non accettare la visita domiciliare. Intanto chiederemo un incontro al direttore generale della Asl», osservano all'Arco.
La storia si compone di due parti, una burocratica, l'altra sanitaria.
La prima riguarda la richiesta di invalidità e dei benefici della legge 104 perchè la moglie, Liliana Di Daniele, era malata di cancro. «La richiesta l'abbiamo presentata il 3 gennaio e per legge entro 15 giorni i malati oncologici devono essere sottoposti a visita», racconta, «l'appuntamento alla Asl ce lo fissano il 31 gennaio. Ma non basta. Mia moglie sta male, non può andare: mando un certificato del medico di famiglia in quale scrive che serve la visita collegiale a domicilio. Io presento anche una richiesta ufficiale. Ma la non viene accettata. Forse pensavano che non dicessimo la verità. Infatti il 5 febbraio mi viene inviata una lettera in cui la Asl fissa una visita il 28 marzo al servizio di medicina legale di via Battisti. Peccato che il giorno prima, il 4, mia moglie stava tanto male, l'abbiamo portata in ospedale con gravissime difficoltà respiratorie. Il 6 febbraio è morta».
Il fiume di parole s'arresta e la commozione ha il sopravvento. Fascioli non commenta, si affida alla crudezza dei fatti e all'inoppugnabilità delle date.
Racconta poi l'aspetto sanitario della rapida fine di sua moglie, a soli 45 anni. Tutto inizia nel giugno 2010, quando sua moglie si fece una lastra ai polmoni in Belgio e c'era una macchia sospetta. Tornata In Italia, si fece una Tac, che evidenzia come la macchia si fosse ingrandita. Poi due broncoscopie e un un ago aspirato, con risultati negativi. Il medico però continua ad avere dubbi e fa un prelievo dal linfonodo ingrossato - è il 10 novembre - e la diagnosi immediata è di adenocarcinoma. Ma bisognava aspettare per la diagnosi finale e dopo un mese arriva: carcinoma del timo. La coppia fa consulti in altri ospedali, arriva a Perugia. «Qui ci dicono che forse è altro. Ci chiedono i vetrini dei prelievi all'ospedale di Teramo. Li inviamo e ci dicono di fare una mammografia: gliela invio. Il medico ci dice per telefono che è cancro del seno. Le dà, sempre per telefono, una cura ormonale, è fine gennaio. Ha appena iniziato, quando si sente male, il 4 febbraio. All'ospedale di Teramo, giustamente, ci chiedono la diagnosi scritta di quanto raccontavamo ci era stato detto a Perugia, ma non è mai arrivata. Mia moglie è morta e io non so ancora dove avesse il cancro».
Fascioli, operaio all'Alfagomma di Castelnuovo, è stato attorniato dalla solidarietà di azienda e colleghi, che hanno fatto una colletta. Il caso l'ha segnalato all'Arco. «Stiamo valutando con l'ufficio legale l'opportunità di procedere per capire che cosa è accaduto riguardo alla convocazione della commissione medica. Se c'è il certificato del medico non si capisce perchè non accettare la visita domiciliare. Intanto chiederemo un incontro al direttore generale della Asl», osservano all'Arco.
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