Teramo, maltrattamenti e abusi: più di cento casi quest’anno 

In 35 si sono rivolte al pronto soccorso e al progetto “Codice Rosa” della Asl. In 71 al centro “La Fenice”. Sono soprattutto italiane e vittime di mariti o fidanzati 

TERAMO. E’ successo a loro, può capitare a tutte. Perchè nell’Italia dei femminicidi senza tregua numeri e storie continuano a scandire la cronaca quotidiana. Nonostante nuove leggi, norme giuridiche di più immediata applicazione e una maggiore consapevolezza. E la realtà, più brutale e sconcertante, prende forma nei numeri che raccontano di 106 donne che chiedono aiuto. Quelle che si raccontano al centro antiviolenza “La Fenice”, quelle che si presentano al pronto soccorso del Mazzini con la faccia pesta e: «guardi proprio non so come ho fatto a scivolare...». Sono loro che, in questa ennesima giornata internazionale contro la violenza alle donne, declinano le storie teramane di maltrattamenti, vessazioni, abusi. Perchè i numeri raccontano che sono soprattutto italiane, che a picchiarle sono mariti, ex fidanzati, ex amanti, che denunciare non è mai semplice.

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IL CODICE ROSA. Da cinque anni il progetto Codice Rosa nel pronto soccorso dell’ospedale Mazzini (ma che è stato esteso a tutti gli altri pronto soccorso dell’Asl teramana dopo una formazione specifica del personale) mette insieme i numeri risultato del lavoro di equipe che accoglie la donna vittima di maltrattamenti. Fino ad oggi sono state 35 quelle che hanno chiesto aiuto: di queste 31 sono state malmenate e due violentate. Le italiane sono la maggioranza: 25 contro 10 di nazionalità estera. La Asl teramana è stata coinvolta nel progetto nazionale Revamp predisposto dal ministero delle Salute e Teramo rappresenta l’Abruzzo tra le venti regioni italiane che partecipano. I dati raccolti servono a stilare le statistiche nazionali. Un progetto all’avanguardia portato avanti sotto l’ egida del direttore del dipartimento emergenza-urgenza Rita Rossi e coordinato dalla dottoressa Carmela Di Sante con una equipe di medici, psicologi, ginecologi, assistenti sociali che seguono le vittime in un percorso che inizia nel momento in cui si presentano al pronto soccorso. E che, spesso, trovano la forza di denunciare proprio grazie a loro che hanno imparato a leggere gesti e parole, a vincere la resistenza di chi deve superare la paura. Perchè le leggi servono a definire un confine, non solo penalmente, ma anche moralmente e culturalmente invalicabile. E anche se non bastano a fermare minacce e botte, danno strumenti efficaci per cambiare senza perdere tempo. E per far dire ad una donna: «da questo momento ho meno paura».
IL CENTRO LA FENICE. Da gennaio a novembre 71 donne, di cui il 70% italiane, si sono rivolte al centro antiviolenza “La Fenice” per chiedere aiuto, per raccontare l’inferno di mariti, fidanzati, amanti (ed ex). Con età diverse: 30, 50 ma anche 60 anni. Dice la consigliera di parità provinciale Federica Vasanella: «nell’ultimo anno, dopo le varie iniziative intraprese, c’è stato un incremento di contatti che non rappresenta un aumento delle violenze. A mio avviso è un dato positivo perchè vuol dire che in tante hanno deciso di chiedere aiuto». Storie diverse con un unico comun denominatore: la paura. Oltre a quella fisica, la paura di perdere i figli, il sostegno economico. Perchè la violenza passa anche e soprattutto da questo. Come è successo a Paola (nome di fantasia). Quando è diventata mamma ha scelto di dedicarsi ai figli e di non lavorare. «Lo stipendio del mio ex marito era buono», racconta, «e quindi ho potuto scegliere di smettere di lavorare e dedicarmi ai figli. Ma quando sono iniziati i problemi e io ho chiesto la separazione questa scelta mi si è ritorta contro. Perchè il mio ex marito per mesi ha fatto leva proprio su questo. «Se te ne vai», mi ha detto, «muori di fame perchè io non ti passo un euro». E Paola, quando ha trovato il coraggio di denunciare, ha dovuto superare anche questa paura.
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