«Ti uccido e mi mangio il cuore» Condannato a 13 anni e 8 mesi 

Operaio 41enne accusato di aver abusato della convivente mentre era ai domiciliari in una comunità Picchiata quando era incinta e minacciata con un coltello, i maltrattamenti davanti alle figlie minori

TERAMO. Le sentenze hanno una forza propria, sono frutto di un percorso rigoroso. Ma non hanno titoli di coda che spiegano tutto, che raccontano ogni dettaglio. Per capire bisogna sempre aspettare le motivazioni. Nei tempi infiniti di maltrattamenti e Codici Rossi questa è una di quelle che ferma il tempo: un uomo condannato a 13 anni e 8 mesi per maltrattamenti e violenza sessuale alla convivente con l’aggravante di aver commesso i fatti nel primo caso davanti alle figlie minori e nel secondo mentre stava scontando una misura alternativa alla detenzione in una comunità.
La sentenza di primo grado è stata emessa dal collegio presieduto dalla giudice Claudia Di Valerio (a latere i giudici Emanuele Ursini e Martina Pollera) al termine di una lunga istruttoria dibattimentale che, come spesso accade nei tribunali, è passata davanti a diversi magistrati con il cambio dei collegi giudicanti. Per l’uomo la Pubblica accusa (rappresentata in aula dal procuratore Ettore Picardi) aveva chiesto una condanna a 8 anni e 6 mesi. La donna si è costituita parte civile rappresentata dall’avvocato Anna Di Santo.
I fatti contestati vanno dal 2001 al 2019, periodo in cui il 41enne operaio ha convissuto con la donna. Un clima di terrore e sopraffazione ha ricostruito la Procura (Enrica Medori il pm titolare del fascicolo) in cui la donna e i figli , all’epoca dei fatti tutti minori, secondo l’accusa sono stati costretti a vivere tra botte e minacce di morte. Indicativo, a questo proposito, un passaggio della richiesta di rinvio a giudizio per l’uomo: «Aggrediva fisicamente la donna sin da quando era in stato di gravidanza e poi, spesso, alla presenza di figlie minori, con schiaffi, pugni e calci; la terrorizzava puntandole un coltello in una circostanza e dicendole “ti ammazzo, ti strozzo, ti apro il torace e mi mangio il cuore”». Quattro gli episodi di violenza sessuale contestati all’uomo che all’epoca dei fatti venne arrestato. Episodi che, secondo l’accusa, sarebbero avvenuti in alcune occasioni nella comunità dove lui stava scontando una misura alternativa alla detenzione e altre nell’abitazione dei familiari mentre era in permesso visita. «Avvalendosi», si legge a questo proposito nella richiesta di rinvio a giudizio, «dello stato di soggezione psicologica posto in essere nei confronti della donna vittima di maltrattamenti, la costringeva a rapporti sessuali completi nonostante il rifiuto inequivocabile della donna, provocandole in tutte le quattro occasioni forti dolori fisici con l’aggravante di aver commesso il fatto mentre era ammesso a misura alternativa alla detenzione in carcere». La Procura, nel chiedere il rinvio a giudizio, all’uomo aveva contestato la recidiva reiterata specifica infraquinquennale.
La motivazioni della sentenza sono state preannunciate tra novanta giorni ed è scontato che la difesa dell’imputato le impugni in Appello.
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