Un colbacco lo salvò in Russia: il grazie del reduce all’alpino sarto 

Lettera del militare di Avezzano morto nel 2020 consegnata ai familiari del montoriese disperso: «Nella ritirata del gennaio 1943 a 40 gradi sotto zero mi ha aiutato il copricapo di pelle di coniglio» 

MONTORIO. «Sono salvo grazie a un sarto di Compagnia al servizio nel nostro reparto che si chiamava Metri Carmine di Montorio al Vomano che mi cucì un copricapo dentro di pelle di coniglio e fuori di stoffa grigio verde. Durante la ritirata nel gennaio 1943 a 40 gradi sotto lo zero avevo sulla testa due passamontagna e quel copricapo grazie al quale sono potuto tornare fra i miei cari». Il ricordo di quelle mani sapienti che avevano cucito un copricapo caldo, ma soprattutto della generosità del suo commilitone Carmine Metri di Montorio ha accompagnato tutta la vita il compianto reduce della campagna di Russia sergente Francesco Colizza, in forza al Quartier generale terza divisione Julia del Battaglione alpini L’Aquila che riuscì a tornare, al contrario di Metri, con i segni nel corpo e ancora di più nella mente, dalla sanguinosa battaglia di Selenyj Jar.
Colizza, reduce di Avezzano, uno dei pochi sopravvissuti del battaglione che si sacrificò per coprire la ritirata di altri reparti, è venuto a mancare nel gennaio del 2020 a 99 anni, ma ha voluto affidare il ricordo e soprattutto la gratitudine a Metri in una lettera che ha donato al gruppo alpini di Montorio. Parole che raccontano il dramma di migliaia di giovani inesperti e non equipaggiati mandati allo sbaraglio a combattere, la maggior parte morti assiderati, ma anche l’amicizia tra due soldati. Una storia con due epiloghi diversi: Colizza ce l’aveva fatta a tornare, nonostante i piedi congelati, e grazie anche a quel copricapo di coniglio che «non gli aveva fatto gelare il cervello» come ha scritto; Metri, che era partito per il fronte lasciando la moglie e tre figli risulta dai documenti ufficiali «disperso in Russia dal 9 gennaio 1943», ma dalle parole di Colizza «rimasto prigioniero dai russi e portato in Siberia dove ha trovato la morte nel campo di prigionia insieme ad altri nostri compagni».
Un incontro avvenuto «nel dicembre 1942, il manto nevoso superava già i 50 centimetri e il termometro segnava 30 gradi sotto lo zero», ha continuato Colizza, «io mi recai al comando per motivi militari, incontrai il sarto Metri Carmine e gli chiesi se poteva farmi un copricapo di pelle, ma rispose che non aveva la pelle di agnello e mi consigliò di trovare una pelle di coniglio tra i contadini russi. Ci siamo salutati rientrando ognuno nei propri reparti». Colizza ha proseguito: «Dinanzi a una casetta ricoperta di paglia notai la pelle di consiglio che dondolava con il vento, chiesi al contadino se poteva regalarmela e rispose “Soldat italiaschi, da da", cioè sì». Così portò la pelle a Metri che gli confezionò il copricapo. «Non avevo che regalargli e mi è dispiaciuto tanto non poter ricambiare la sua gentilezza», riporta ancora la missiva, «durante la ritirata parecchi alpini uscivano fuori dalla lunga colonna di marciatori e andavano a morire lungo la steppa, gridando a squarciagola frasi sconnesse e abbandonandosi a loro stessi, lasciati come pasto ai lupi che scendevano a branchi». Il 4 e 5 gennaio i sopravvissuti, stremati dal freddo, si rifugiarono a riposare in una casa, ma ci fu un attacco russo. Una pagina di storia che stamattina verrà esaminata nel convegno “Alpini caduti in Russia nella seconda guerra mondiale” in programma a Montorio in occasione dell’adunata regionale delle penne nere e nel quale verrà consegnata la lettera ai familiari di Metri. «Ero a un raduno ad Avezzano e mi venne incontro Colizza che cercava gli alpini di Montorio», ha confidato il capogruppo Rocco De Angelis, « raccontò tutta la storia con le lacrime agli occhi, poi mi inviò la lettera, eternamente grato a Metri e con il desiderio di ringraziare i suoi familiari non avendo potuto farlo con lui».
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