Garibaldi, il leone di Caprera

Incarnò lo spirito eroico del Risorgimento e fu artefice dell'unità d'Italia


Il 4 luglio di duecento anni fa nasceva a Nizza Giuseppe Garibaldi. Al bicentenario della nascita dell'Eroe dei due Mondi il Centro dedica oggi una pagina con un saggio di Giovanni Brancaccio, professore ordinario di Storia moderna presso l'università Gabriele D'Annunzio di Chieti-Pescara, e un'intervista a Luciano Russi, docente ordinario di Storia delle idee politiche e sociali alla Sapienza di Roma ed ex rettore dell'università di Teramo.

Nel 1863, Odoardo Borrani, il pittore pisano, che aveva frequentato i macchiaioli del “Caffè Michelangelo” e che, qualche anno più tardi, avrebbe fondato con S. Lega e G. Abbati la scuola di Pergentina, raffigurava in un suo celebre dipinto un gruppo di donne intente a cucire camicie rosse (il rosso del sangue e della rivoluzione). Alla parete del salotto borghese, nel quale le cucitrici confezionavano, con spirito patriottico, l'uniforme garibaldina, era appeso un ritratto dell'Eroe dei Due Mondi, riconoscibile da alcuni suoi tratti caratteristici: la fronte ampia, la barba e la lunga capigliatura bionda.

Con la sua opera il Borrani intese fissare sulla tela la leggenda del “leone di Caprera”, volle cioè esprimere la stupefacente ammirazione che i contemporanei nutrirono per Garibaldi, assurto a simbolo di amore patrio, strenuo difensore dei principi di libertà, nazionalità, democrazia e dei diritti delle minoranze, nemico di qualsiasi forma di oppressione, di schiavitù, di dittatura e garante di giustizia sociale. Non v'è dubbio che la spedizione dei Mille, nel suscitare un notevole entusiasmo popolare e nell'accrescere nell'opinione pubblica internazionale la simpatia per la causa dell'indipendenza e dell'unità italiana, rafforzasse il prestigio di Garibaldi, dando alla sua storia favolosa una dimensione europea e mondiale.

L'impeto dei volontari della spedizione, l'ardimentosa liberazione della Sicilia e del Mezzogiorno continentale, l'abbattimento del regime dispotico dei Borboni, la caduta improvvisa del Regno furono, infatti, tutti elementi che alimentarono il mito di Garibaldi, combattente liberale della libertà. E' significativo che nei giorni successivi alla vittoria di Calatafimi, Massimo D'Azeglio, che si trovava a Londra, scrivesse a Cavour che in Inghilterra gli aiuti all'impresa garibaldina erano pervenuti da tutte le classi sociali, perché “Garibaldi qui è considerato un semi-dio”. L'eco dell'azione garibaldina si radicò allora maggiormente presso i “popoli oppressi”, che cullarono la speranza di un improvviso arrivo liberatore del Generale e che continuarono a coltivarne il mito anche dopo la morte.

In realtà, a rendere ancora più suggestiva la leggenda di Garibaldi cospiratore, marinaio, “corsaro”, ammiraglio, guerrigliero, teorico della guerra nazionale per bande e della dittatura militare, da esercitare, in nome del popolo, esclusivamente in situazioni d'emergenza, moderno Cincinnato, capo indiscusso del volontariato risorgimentale, condottiero eccezionale, generale audace, rapido nelle decisioni, dotato di intuito tattico e di un forte senso di disciplina, ma anche acuto uomo politico, fu la sua vita avventurosa, cominciata come mozzo ad appena quindici anni sulla piccola imbarcazione paterna. E sul mare il giovane Garibaldi imparò a sfidare il pericolo e a sopportare ogni genere di fatica. Affiliatosi alla Giovine Italia, prese parte ai moti mazziniani nella Savoia (1834), ma il fallimento dell'insurrezione e la condanna a morte in contumacia lo costrinsero ad imbarcarsi per Rio de Janeiro, dove, sotto la bandiera del Rio Grande del Sud, con una piccola flotta difese il governo repubblicano contro don Pedro II. Passato al servizio dell'Uruguay in guerra contro il dittatore Rosas, Garibaldi compì al comando della Legione italiana, i cui soldati indossavano la camicia rossa, memorabili imprese militari. Nei dodici anni trascorsi in Sud America, durante i quali si innamorò e sposò la brasiliana Anita Maria Ribeiro da Silva, nacque il mito dell'Eroe repubblicano dei Due Mondi.

Le rivoluzioni del 1848 spinsero però Garibaldi a ritornare in Italia, dove partecipò alla Prima guerra di indipendenza e alla difesa della Repubblica romana. La drammatica fine di quest'ultima lo costrinse, dopo che durante la leggendaria marcia in soccorso di Venezia era scomparsa prematuramente la moglie Anita, di nuovo all'esilio (Tangeri, Liverpool, New York, dove lavorò in una fabbrica di candele con Antonio Meucci, America Centrale e Meridionale). Ritornato in Italia nel 1854, si trasferì a Caprera, dedicandosi all'agricoltura, alla pastorizia e al commercio del legname.

Intanto, dopo essersi allontanato da Mazzini, Garibaldi si avvicinò alla monarchia sabauda e fondò, nel 1857, la Società Nazionale Italiana. Nominato generale dell'esercito sardo, col corpo di volontari Cacciatori delle Alpi occupò, durante la Seconda guerra d'indipendenza, Varese, Bergamo e Brescia.

All'indomani della impresa dei Mille, Garibaldi assunse la presidenza della Associazione emancipatrice italiana, che fece della lotta per Roma capitale il fulcro del suo programma democratico. Alla guida di numerosi volontari, che si raccolsero in Sicilia al grido di “Roma o morte”, Garibaldi, sbarcato in Calabria, puntò su Roma, ma, ferito dall'esercito regio nello scontro avutosi sull'Aspromonte, fu fatto prigioniero e rinchiuso nel forte di Varignano. Membro del Comitato unitario del Partito d'azione, Garibaldi si adoperò allora per acquisire alla causa della indipendenza italiana un più ampio sostegno internazionale. Lo scoppio della Terza guerra d'indipendenza lo vide ancora una volta protagonista; a Bezzecca infatti riportò l'unica vittoria di quello sfortunato conflitto.

Abortito il nuovo tentativo di liberare Roma con un'azione rivoluzionaria, Garibaldi, dopo la sconfitta di Mentana subita ad opera dei franco-pontifici, tornò a Caprera; ma, nel 1870, caduto Napoleone III, si mise al servizio del nuovo governo repubblicano francese, mostrando la sua abilità strategico-militare nell'occupazione e nella difesa di Digione (gennaio 1871) contro l'esercito prussiano.

Nell'ultimo decennio della sua vita, Garibaldi si dedicò ad una intensa attività politica dentro e fuori del Parlamento, rivelando, accanto a notevoli doti intellettuali, un originale pensiero politico, fatto di principi repubblicani, massonici, anticlericali e pacifisti. Sensibile al disagio economico delle classi lavoratrici, egli concepì, inoltre, un socialismo, che, incentrato sull'associazionismo operaio, si distinse dal marxismo rivoluzionario. Appare evidente come la straordinaria figura di Garibaldi e la sua irripetibile azione fossero alla base del mito dell'Eroe della libertà; come Garibaldi divenisse un punto di riferimento fondamentale per liberali, radicali, repubblicani, socialisti, fautori del libero pensiero, e continuasse ad esserlo anche in seguito per fascisti ed antifascisti. Ma ciò che più conta sottolineare è che il mito di Garibaldi rimane tuttora intatto nell'immaginario collettivo degli Italiani. Garibaldi resta la personificazione vivente dello spirito eroico ed epico del Risorgimento; rappresenta - come osservò Adolfo Omodeo - una parte essenziale del “patrimonio morale della nazione”. Il che concorre poi a spiegare perché gruppi e schieramenti politici opposti si contendano oggi la sua grande eredità, dimenticando che l'Eroe dei Due Mondi fu innanzitutto e soprattutto l'artefice dell'Unità d'Italia.

* Professore ordinario di storia moderna all'università D'Annunzio di Chieti-Pescara