Il piatto territoriale cotto al coccio come da tradizione
Lo chef del ristorante “Arca” di Alba Adriatica propone un secondo antico al costo di circa 20 euro
ALBA ADRIATICA. Il raviolo di gelatina di peperone con paté di capra alla neretese e spuma di pomodoro. L'hamburger di capra con salsa di pomodoro, cipolla fritta e gelato di peperone arrostito. Lo spezzatino di capra alla neretese preparato come tradizione comanda. Tre declinazioni - passato, presente e futuro, provocatoriamente ma rigorosamente nell'ordine di successione - di un cibo - la carne di capra- per riassumere una filosofia di pensiero. E di cucina. Quella di Massimiliano Capretta (quando si dice nomen omen!), chef "atipico" (è sommelier Ais, barman Aibs, nato cameriere e fisso in cucina da 10 anni ma ha sempre cucinato, racconta) e preparatissimo quanto a salubrità delle materie prime e tecniche di cottura. Sano, buono, e bello da vedere (leggi: tecnicamente ben fatto), il suo credo, la sua missione. Che giocosamente ("la cucina è gioco di saperi" dichiara) ha riassunto in un piatto identitario del territorio vibratiano, al quale lui stesso appartiene per origine familiare e per scelta professionale. Il suo ristorante "hostaria" a pochi metri dalla spiaggia di Alba Adriatica, Arca (anche qui, nel nome un impegno etico: salvare i sapori veri e promuovere i prodotti tipici del territorio), dietro la facciata curata ed elegante è un autentico laboratorio di sperimentazione e messa a punto della più sana e buona cucina italiana. Dove stupirsi per la bontà e la naturalezza del calamaro scottato sulla pietra di mare a 200 gradi, della suadenza delle linguine (Verrigni) alla carbonara di mare con uova e bottarga di muggine pescato a seicento metri dal ristorante, estratte e messe a salare in cantina dallo chef. Oppure, altro esempio di chiaro stampo macrobiotico per la felicità dei vegetariani convinti, che l'arrosticino si può fare anche col seitan di grano (anche quello fatto in casa), kamut o saragolla è solo questione filosofica. Così ragionando, e giocando, sono nate le rivisitazioni di un classico della cucina teramana, la capra alla neretese. Piatto intramontabile, e perciò presente tra i più intriganti effetti speciali da assaggiare nel menu dell'Arca, a rotazione con le altre carni ovine, insieme alle mazzarelle (che Capretta presenta come ripieno delle olive ascolane fritte: "tradizione nella tradizione" spiega), l'agnello cace' ovo o la pecora alla callara. "La capra è il piatto del futuro e io ne auspico il ritorno" sentenzia sorridendo Massimiliano. "Attualmente la carne ovina è la più sana perchè ha bisogno di pascolo, quindi è allevata naturalmente a differenza del pollo, fatto crescere troppo in fretta. Siamo arrivati al punto di dover scegliere all'inverso, cioè il meno peggio del cibo disponibile per salvaguardare la nostra salute. Perciò dico che la capra è il piatto del futuro". "Ho definito come "ieri" il raviolo di gelatina di peperone con paté di capra per dire che la cucina alla moda di Ferran Adrià è ormai tramontata. Se fino a qualche tempo fa non presentavi sferificazioni, spume e gelatine nel piatto, non eri nessuno. Per quanto mi riguarda personalmente, pur avendo frequentato corsi di cucina e applicazione a Barcellona, non sono riuscito a impiegare quei prodotti nella mia cucina perchè non l'ho voluta compromettere, semplicemente perchè non è un mangiare sano e non preparerei mai un piatto che io per primo non mangio. Ma quando" si chiede "le grandi guide ai ristoranti si accorgeranno che esiste una buona cucina italiana che ricerca il sano sul territorio e per questo va premiata?"."Poi" continua "ho definito l'oggi, il presente, con l'hamburger di carne di capra, un modo per scimmiottare i fast food tanto frequentati dai giovani. Ed ho chiamato "domani" la capra alla neretese preparata nel modo più tradizionale, con l'auspicio che dopo tanto giocare si torni alla tradizione. Un segreto per renderla più leggera? Lavare la carne sotto l'acqua calda corrente. Dopo averla ripulita dalle impurità residue e asciugata, cospargerla di sale e lasciarla asciugare ancora mezz'ora».
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