Maremoti, pericolo minore nell'AdriaticoBoschi: "Non con scosse sull'Appennino"
Secondo il presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), "le dimensioni dei rischi sono nettamente inferiori rispetto al Pacifico"
L’AQUILA. È possibile un maremoto anche lungo le coste dell’Adriatico? La domanda, che già dopo il sisma del 6 aprile riempiva di dubbi i blog degli «internauti», torna alla ribalta dopo quanto accaduto nelle isole Samoa. Domanda girata al professor Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), raggiunto al telefono. «In linea di principio sì, possono verificarsi maremoti anche nell’Adriatico», spiega Boschi, che subito chiarisce: «Le dimensioni dei rischi sono nettamente inferiori rispetto al Pacifico, dove si verificano violenti terremoti ogni quattro, cinque anni e dove ci possono essere anche maremoti di una certa entità». Ma che cos’è un maremoto? «Si forma quando c’è un sisma in mare e si sposta una grande massa d’acqua», precisa il presidente dell’Ingv, «a causa della liberazione di energia a una determinata profondità del mare.
Per generare una perturbazione della massa d’acqua, che si sposta a velocità di centinaia e centinaia di chilometri orari, è necessaria una scossa di almeno 7 gradi sulla scala Richter. Nei pressi della costa, dove la profondità del mare è inferiore, si alzano delle onde di svariati metri di altezza che si abbattono con grande violenza sulla superficie. Violenza che nel caso dell’Adriatico è da escludere perché le scosse non sono mai forti e perché l’estensione geografica del mare è limitata. Però non è improbabile che forti terremoti in Grecia o nell’Africa del nord possano generare tsunami che abbiano ripercussioni sulle coste adriatiche, calabresi o siciliane. E’ da escludere, invece, che un sisma nell’Appennino possa generare tsunami». Ma in passato si sono verificati maremoti anche lungo le coste adriatiche. Cinque sui 32 registrati in Italia dall’anno Mille.
Tutti catalogati in una dettagliata ricerca del Servizio sismico nazionale. Il primo avvenne nel 1511 nel Nord Adriatico e causò un innalzamento del mare a Trieste. Il secondo, ben più grave, colpì l’area tra il Gargano e il Molise nel 1627 (onde alte fino a cinque metri si abbatterono tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del lago di Lesina, e colpirono anche Termoli e Manfredonia). Nel 1672 un maremoto interessò l’Adriatico centrale, causando inondazioni a Rimini. Sempre fra Rimini e Cervia si verificò un innalzamento del mare, in seguito a un terremoto, nel 1875. Più recentemente, nel 1979, il maremoto colpì l’ex Montenegro. «Tutti gli altri maremoti», riprende Boschi, «si sono verificati nel resto del Mediterraneo. Quello più devastante colpì Messina nel 1908, con onde fino a 13 metri. L’ultimo è avvenuto nel 2002 a Stromboli, causato dal crollo dell’edificio vulcanico».
Ma se dovesse verificarsi un maremoto ci sarebbe il tempo per lanciare allarmi? «Un compito che non spetta al nostro istituto», conclude Boschi, «ma la Protezione civile è organizzata anche in tal senso. Nel caso di un forte sisma nel Mediterraneo scatterebbe subito un meccanismo di informazione e in tempi brevi si riuscirebbe a lanciare allarmi e a favorire evacuazioni».
Per generare una perturbazione della massa d’acqua, che si sposta a velocità di centinaia e centinaia di chilometri orari, è necessaria una scossa di almeno 7 gradi sulla scala Richter. Nei pressi della costa, dove la profondità del mare è inferiore, si alzano delle onde di svariati metri di altezza che si abbattono con grande violenza sulla superficie. Violenza che nel caso dell’Adriatico è da escludere perché le scosse non sono mai forti e perché l’estensione geografica del mare è limitata. Però non è improbabile che forti terremoti in Grecia o nell’Africa del nord possano generare tsunami che abbiano ripercussioni sulle coste adriatiche, calabresi o siciliane. E’ da escludere, invece, che un sisma nell’Appennino possa generare tsunami». Ma in passato si sono verificati maremoti anche lungo le coste adriatiche. Cinque sui 32 registrati in Italia dall’anno Mille.
Tutti catalogati in una dettagliata ricerca del Servizio sismico nazionale. Il primo avvenne nel 1511 nel Nord Adriatico e causò un innalzamento del mare a Trieste. Il secondo, ben più grave, colpì l’area tra il Gargano e il Molise nel 1627 (onde alte fino a cinque metri si abbatterono tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del lago di Lesina, e colpirono anche Termoli e Manfredonia). Nel 1672 un maremoto interessò l’Adriatico centrale, causando inondazioni a Rimini. Sempre fra Rimini e Cervia si verificò un innalzamento del mare, in seguito a un terremoto, nel 1875. Più recentemente, nel 1979, il maremoto colpì l’ex Montenegro. «Tutti gli altri maremoti», riprende Boschi, «si sono verificati nel resto del Mediterraneo. Quello più devastante colpì Messina nel 1908, con onde fino a 13 metri. L’ultimo è avvenuto nel 2002 a Stromboli, causato dal crollo dell’edificio vulcanico».
Ma se dovesse verificarsi un maremoto ci sarebbe il tempo per lanciare allarmi? «Un compito che non spetta al nostro istituto», conclude Boschi, «ma la Protezione civile è organizzata anche in tal senso. Nel caso di un forte sisma nel Mediterraneo scatterebbe subito un meccanismo di informazione e in tempi brevi si riuscirebbe a lanciare allarmi e a favorire evacuazioni».