Storia tipografica dell’Abruzzo
Un’imponente opera di Luigi Ponziani su editoria e giornali nell’800.
La produzione degli editori e stampatori abruzzesi nell’Ottocento per la prima volta completamente documentata, grazie all’imponente opera di Luigi Ponziani, «Abruzzo Tipografico. Annali del XIX secolo», edita da Ricerche&Redazioni. Dopo anni di lavoro, Ponziani, direttore della biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico di Teramo e professore a contratto di Storia della stampa e dell’editoria nell’università dell’Aquila, ha pubblicato questo grande repertorio, in cui vengono censiti circa settemila documenti, espressione della vivace attività tipografica ed editoriale nell’Abruzzo dell’Ottocento. L’opera, «Abruzzo Tipografico» (896 pagine, in due tomi, 90 euro), aperta da un denso saggio, arricchisce con gli Annali le conoscenze sulla stampa abruzzese, raddoppiando le informazioni bibliografiche rispetto ai repertori esistenti.
Luigi Ponziani ha parlato con il Centro dell’importante pubblicazione. Lei ha compiuto un lavoro immane di ricerca. Quanto tempo hanno richiesto l’indagine e l’elaborazione dei dati? «Il lavoro strettamente compilativo, di raccolta dati, ha richiesto molti anni. C’è stato un primo momento di sintesi nel 1997, con la pubblicazione degli “Annali tipografici dell’Abruzzo teramano”. Ho pensato poi di ampliare il lavoro dalla dimensione teramana a quella abruzzese. Si è trattato di un processo di raccolta spalmato negli anni, facilitato a un certo punto dalle nuove tecnologie, che hanno permesso la ricerca sui cataloghi in linea. Il saggio introduttivo è invece un lavoro di elaborazione dei dati del repertorio annalistico, con un inquadramento critico, in ambito sia locale che nazionale, del fenomeno tipografico abruzzese».
Da questo studio quale quadro si ricava della società abruzzese? «Si possono fare varie riflessioni. Intanto si ricava l’idea di un Abruzzo più ricco di quanto si pensi. Si può dire che il Meridione non è solo Napoli, e si può guardare alla storia d’Italia in epoca pre-unitaria in modo meno settoriale. Poi si può fare una riflessione sulle classi dirigenti, che sono le classi colte, che scrivono e leggono, individualmente e collettivamente. Nei miei studi mi occupo fondamentalmente di classi dirigenti, e la stampa, mezzo di comunicazione che nell’Ottocento si afferma ed evolve rapidamente, ha a che fare profondamente con le élite. Il risvolto negativo è che tutto ciò insiste all’interno di una regione che per tutto l’Ottocento presenta difficoltà strutturali, a livello di servizi, e un forte analfabetismo.
Ancora nel 1901 nella provincia di Teramo si registra una percentuale di analfabeti pari al 70 per cento della popolazione, e nella altre due province la situazione è più o meno la stessa. Altre peculiarità della regione sono la religiosità e la persistenza di modalità attardate di vivere e riconoscersi, come la ritualità e il tradizionalismo». Su quali fonti si è basato? «La biblioteca Melchiorre Dèlfico, che ha una sezione abruzzese particolarmente ricca, è stata la fonte più preziosa per la ricerca. E poi le altre biblioteche provinciali, la De Meis di Chieti, la Tommasiana all’Aquila e la D’Annunzio a Pescara. E le biblioteche minori, senza dimenticare l’apporto di amici studiosi che mi hanno indicato documenti, e di privati che mi hanno indicato fonti dalle loro biblioteche private.
Ho fatto tesoro di quanto, in 150 anni, si è sedimentato intorno al fenomeno tipografico abruzzese». A quale fruitore si rivolge l’opera? Si tratta di un lavoro specialistico per addetti ai lavori, oppure può essere utile anche per il lettore curioso? «E’ un repertorio utilizzabile soprattutto per chi deve occuparsi di fonti stampate in Abruzzo. Ma è anche uno studio della stampa e dell’editoria nella nostra regione, nonché un utile strumento per chi deve affrontare temi connessi. Ad esempio, ci sono documenti relativi all’attività musicale, la minuta pubblicistica relativa alla musica sacra, che nel primo Ottocento ha permeato la cultura abruzzese, che si riconosceva in questo tipo di sociabilità. Gli Annali sono utili per sapere, inoltre, cosa si pubblicava, a opera di chi e su cosa.
Soddisfano anche una curiosità di tipo economico-sociale, relativamente alla presenza di stamperie e tipografie, che a volte si trasformano in editoria. Un fenomeno che è economia, cultura, tecnologia, e ha a che fare con l’evoluzione di una società. Si può inoltre ricostruire tutta l’attività regolamentaria e statutaria, dal 1860 in poi. Non solo quindi l’elenco dei settemila documenti, ma il significato di questa produzione. La presenza del saggio serve da bussola interpretativa. La storia della stampa e dell’editoria non è qualcosa di asettico, ma è una ricostruzione della storia di un territorio. La nascita di un pubblico e di un mercato. Una ricostruzione anche del gusto e del costume». E’ capitato di imbattersi in pubblicazioni curiose? «Più che curiose direi caratteristiche di un periodo.
Ad esempio, fino al 1860 è evidente la forte presenza di pubblicazioni di carattere religioso, fatte dalle confraternite. Si scopre come il tradizionalismo religioso nel Teatino persista per tutto il secolo, mentre a Teramo e L’Aquila tale sentimento viene meno. La geografia della cultura è un elemento importante per ricomporre un’epoca storica. Per esempio, dalla pubblicistica relativa ai lavori pubblici, ferrovie, strade, acquedotti, che dopo l’unità nazionale è molto significativa, possiamo persino ricostruire il progresso del territorio».
Luigi Ponziani ha parlato con il Centro dell’importante pubblicazione. Lei ha compiuto un lavoro immane di ricerca. Quanto tempo hanno richiesto l’indagine e l’elaborazione dei dati? «Il lavoro strettamente compilativo, di raccolta dati, ha richiesto molti anni. C’è stato un primo momento di sintesi nel 1997, con la pubblicazione degli “Annali tipografici dell’Abruzzo teramano”. Ho pensato poi di ampliare il lavoro dalla dimensione teramana a quella abruzzese. Si è trattato di un processo di raccolta spalmato negli anni, facilitato a un certo punto dalle nuove tecnologie, che hanno permesso la ricerca sui cataloghi in linea. Il saggio introduttivo è invece un lavoro di elaborazione dei dati del repertorio annalistico, con un inquadramento critico, in ambito sia locale che nazionale, del fenomeno tipografico abruzzese».
Da questo studio quale quadro si ricava della società abruzzese? «Si possono fare varie riflessioni. Intanto si ricava l’idea di un Abruzzo più ricco di quanto si pensi. Si può dire che il Meridione non è solo Napoli, e si può guardare alla storia d’Italia in epoca pre-unitaria in modo meno settoriale. Poi si può fare una riflessione sulle classi dirigenti, che sono le classi colte, che scrivono e leggono, individualmente e collettivamente. Nei miei studi mi occupo fondamentalmente di classi dirigenti, e la stampa, mezzo di comunicazione che nell’Ottocento si afferma ed evolve rapidamente, ha a che fare profondamente con le élite. Il risvolto negativo è che tutto ciò insiste all’interno di una regione che per tutto l’Ottocento presenta difficoltà strutturali, a livello di servizi, e un forte analfabetismo.
Ancora nel 1901 nella provincia di Teramo si registra una percentuale di analfabeti pari al 70 per cento della popolazione, e nella altre due province la situazione è più o meno la stessa. Altre peculiarità della regione sono la religiosità e la persistenza di modalità attardate di vivere e riconoscersi, come la ritualità e il tradizionalismo». Su quali fonti si è basato? «La biblioteca Melchiorre Dèlfico, che ha una sezione abruzzese particolarmente ricca, è stata la fonte più preziosa per la ricerca. E poi le altre biblioteche provinciali, la De Meis di Chieti, la Tommasiana all’Aquila e la D’Annunzio a Pescara. E le biblioteche minori, senza dimenticare l’apporto di amici studiosi che mi hanno indicato documenti, e di privati che mi hanno indicato fonti dalle loro biblioteche private.
Ho fatto tesoro di quanto, in 150 anni, si è sedimentato intorno al fenomeno tipografico abruzzese». A quale fruitore si rivolge l’opera? Si tratta di un lavoro specialistico per addetti ai lavori, oppure può essere utile anche per il lettore curioso? «E’ un repertorio utilizzabile soprattutto per chi deve occuparsi di fonti stampate in Abruzzo. Ma è anche uno studio della stampa e dell’editoria nella nostra regione, nonché un utile strumento per chi deve affrontare temi connessi. Ad esempio, ci sono documenti relativi all’attività musicale, la minuta pubblicistica relativa alla musica sacra, che nel primo Ottocento ha permeato la cultura abruzzese, che si riconosceva in questo tipo di sociabilità. Gli Annali sono utili per sapere, inoltre, cosa si pubblicava, a opera di chi e su cosa.
Soddisfano anche una curiosità di tipo economico-sociale, relativamente alla presenza di stamperie e tipografie, che a volte si trasformano in editoria. Un fenomeno che è economia, cultura, tecnologia, e ha a che fare con l’evoluzione di una società. Si può inoltre ricostruire tutta l’attività regolamentaria e statutaria, dal 1860 in poi. Non solo quindi l’elenco dei settemila documenti, ma il significato di questa produzione. La presenza del saggio serve da bussola interpretativa. La storia della stampa e dell’editoria non è qualcosa di asettico, ma è una ricostruzione della storia di un territorio. La nascita di un pubblico e di un mercato. Una ricostruzione anche del gusto e del costume». E’ capitato di imbattersi in pubblicazioni curiose? «Più che curiose direi caratteristiche di un periodo.
Ad esempio, fino al 1860 è evidente la forte presenza di pubblicazioni di carattere religioso, fatte dalle confraternite. Si scopre come il tradizionalismo religioso nel Teatino persista per tutto il secolo, mentre a Teramo e L’Aquila tale sentimento viene meno. La geografia della cultura è un elemento importante per ricomporre un’epoca storica. Per esempio, dalla pubblicistica relativa ai lavori pubblici, ferrovie, strade, acquedotti, che dopo l’unità nazionale è molto significativa, possiamo persino ricostruire il progresso del territorio».