CORONAVIRUS
Studio su 15mila pescaresi svela qual è la durata degli anticorpi
L’epidemiologo Manzoli annuncia in anteprima al Centro i risultati della sua nuova ricerca: "Reinfettati solo 24 pazienti: l’immunità anche con i vaccini può resistere fino a un anno e due mesi"
PESCARA. Solo lo 0.16% dei contagiati da coronavirus torna positivo una seconda volta. Sono le prime indiscrezioni emerse da uno studio sul tasso di reinfezione che si basa su un campione di 15mila persone della provincia di Pescara, 800 delle quali seguite per oltre un anno. Un dato che vede l'Abruzzo protagonista e il cui esito potrebbe condizionare le prossime campagne di vaccinazioni. In particolare la somministrazione delle terze dosi. Lo studio, diretto dall'epidemiologo Lamberto Manzoli, ordinario di Igiene ed Epidemiologia e direttore della clinica all'università di Ferrara, ma con salde radici pescaresi, è in fase di revisione su riviste scientifiche internazionali. Oggi la variante Delta ha soppiantato le altre varianti in quasi tutti i Paesi del mondo. I vaccini sembrano però efficaci per combatterla. Ma fino a che punto? Lo abbiamo chiesto a Manzoli che ha già portato a termine un’importante ricerca sull'efficacia dei vaccini
contro la mortalità da Covid.
Professor Manzoli, qual è la differenza della variante Delta sui vaccinati rispetto ai non vaccinati?
"Le prime stime ci dicono che i vaccini sono efficaci contro la variante Delta che è sicuramente più severa e più patogena delle altre. Sicuramente nei prossimi mesi vedremo sempre più un carico di ricoverati tra i non vaccinati e gli anziani".
Quale incidenza ha oggi in Abruzzo e in Italia la variante Delta?
"Proprio perché è più contagiosa ora è certamente dominante. Ha sostituito la variante Alfa già da diverso tempo".
Chi rischia di più tra i non vaccinati se viene colpito da questa variante?
"Sicuramente, come per il passato, gli anziani e le persone fragili, quelle che hanno patologie croniche e/o invalidati. Per i giovani il rischio non è stato ancora quantificato".
Passiamo allo studio che certamente farà notizia perché può stabilire la durata degli effetti degli anticorpi. Sono solo le prime indiscrezioni ma bastano per capire la portata della ricerca condotta da Manzoli e il suo gruppo di lavoro. Il dato emerso di soli 24 casi di reinfezione su 15mila soggetti fa ben sperare per il futuro evolversi del Covid-19 perché dimostra come difficilmente un paziente si reinfetti dopo molto tempo. Non solo. Dallo studio è emerso che nessuno degli 800 pazienti seguiti per oltre un anno dopo il contagio si è reinfettato. Secondo Manzoli, questo studio potrebbe sciogliere molti i dubbi sulla durata dell'immunità.
Perché questa ricerca è innovativa?
"Ci sono già ricerche che dicono che le reinfezioni sono rare, ma nessuno di queste ha un follow-up così lungo, di un anno e due mesi. Se questi dati saranno simili a quelli dei vaccinati, cioè se l'immunità indotta dal vaccino è simile a quella naturale, allora ciò potrebbe influenzare le future campagne vaccinali e la necessità o meno della terza dose. Lo studio ora è in fase di revisione e stiamo aspettando proprio in questi giorni la risposta di una importante rivista scientifica internazionale".
I sintomi della variante Delta in moltissimi casi sono gli stessi della versione originale del Covid. Tuttavia, i medici vedono le persone ammalarsi più rapidamente, soprattutto i più giovani. Ricerche recenti hanno scoperto che la variante Delta cresce più rapidamente, e a livelli molto maggiori, nel tratto respiratorio. Anche questa mutazione del virus mantiene i suoi soliti sintomi, come tosse, febbre e mancanza di respiro. Ma la Delta, grazie al vaccino, può avere in molti casi sintomi più lievi, che alcuni potrebbero scambiare persino per un comune raffreddore. Al contrario, in persone non vaccinate, come riporta il Cdc Usa, può anche causare malattie più gravi rispetto ai ceppi precedenti. In due diversi studi condotti in Svezia e in Canada, i pazienti infettati dalla variante Delta avevano maggiori probabilità di essere ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti colpiti dalla variante inglese o dai ceppi virali originali.
©RIPRODUZIONE RISERVATA