Premio Borsellino, Di Lello: basta pessimismo, la mafia non ha vinto
Il discorso dell’ex magistrato abruzzese membro del pool di Palermo. «Occorre continuare nell’educazione dei giovani, nella denuncia e nel contrasto»
Pubblichiamo alcuni stralci del discorso letto da Giuseppe Di Lello, in occasione del ricevimento del Premio Borsellino, ieri a Pescara. Di Lello, 77 anni, abruzzese di Villa Santa Maria, ha fatto parte come magistrato del pool antimafia di Palermo con Falcone, Borsellino e Guarnotta, negli anni Ottanta.
Con il premio Borsellino Leo Nodari ha il grande merito di ricordare anno dopo anno donne e uomini che, in un passato non troppo lontano, si sono impegnati a fronteggiare la criminalità mafiosa anche a costo della vita in una lotta per il rispetto della dignità e della democrazia di tutto il paese. Tra le non poche persone simbolo di questo impegno, per ieri ma anche per il nostro futuro, Paolo Borsellino ci si presenta come l’ideale del giudice caduto per la libertà di tutti noi. Non a caso per la sua storia, raccontata ormai tante volte, per la sua scelta di rimanere a Palermo anche nella certezza di un attentato alla sua vita, è stato accomunato a Giorgio Ambrosoli, un altro eroe borghese la cui tragica fine è stata sinteticamente spiegata con disprezzo dal cinico Andreotti con frase “se l’è cercata”. Sarebbe riduttivo cercare di elencare i tanti eroi borghesi e non come Pio La Torre, caduti sul fronte della legalità, ma qui a Pescara è giusto ricordare Emilio Alessandrini vittima di un terrorismo di altro segno ma con la stessa finalità di quello mafioso, attentare alle istituzioni democratiche dello stato.
Per tornare alla criminalità mafiosa, ovviamente non se l’era cercata Ambrosoli, né se la sono cercata i tanti che sono caduti nella lotta alla mafia, vittime certo del demone dell’accumulazione, ma aiutati e utilizzati da una classe di potere ovunque servisse, dalla raccolta di consensi elettorali, al controllo delle attività economiche, alla eliminazione fisica degli avversari e altro ancora: anche su questo versante abbiamo accumulato tanta memoria storica incontrovertibile.
Siamo alla fine di un anno terribile per il fronte antimafia, segnato da scandali e polemiche che ne hanno messo in discussione la credibilità e l’efficacia, fino ad offuscare le indubbie vittorie ottenute al prezzo di tanti sacrifici, diffondendo giudizi che, a furia di ripeterli acriticamente, ormai sembrano verità: lo Stato ha perso, la mafia ha vinto, Cosa nostra è più forte di prima. Atteniamoci alla realtà. In Sicilia, e a Palermo e dintorni in particolare, ci sono ormai pochissimi omicidi, da contare sulle dite di una mano: negli anni ’80 e ’90 erano centinaia all’anno e c’è chi ne ha contati mille: vi sembra un dato irrilevante?
I capi di Cosa nostra, con l’eccezione del latitante Matteo Messina Denaro, sono stati tutti catturati e sono all’ergastolo, così come sono stati catturati i capi storici della Camorra e molti della ‘ndrangheta. Gli arresti, i sequestri e le confische dei beni sono una grande quantità, così come i processi alle varie organizzazioni criminali, da Milano, a Reggio e a Palermo: tutto ciò non conta nulla?
Certo le mafie in alcune aree sono ancora presenti con le estorsioni e i costanti tentativi di controllo degli appalti in special modo dei servizi pubblici. La ‘ndrangheta calabrese in particolare ha esteso il suo potere criminale in molte zone del centro nord grazie anche alla sua egemonia nel narcotraffico, ma va sfatato un altro mito, quello secondo cui la capacità economica delle mafie sarebbe in grado di alterare i mercati finanziari e la Borsa. I mafiosi acquistano bar, ristoranti, esercizi commerciali, immobili (ora sono tornati ad acquistare terreni meno appariscenti ai fini dei controlli) ma non credo proprio che possano alterare l’andamento della Borsa che muove miliardi al giorno. Basta pensare che il mercato globale dei cambi, fino a qualche anno fa, muoveva un qualcosa come quattromila miliardi di dollari al giorno. Né bisogna confondere l’economia criminale con quella illecita, farne tutto un fascio e attribuirla alle organizzazioni mafiose per esaltarne la potenza economica, che c’è ma senza esagerazioni. (...)
In buona sostanza l’azione di contrasto della magistratura e delle forze di polizia si sta rivelando abbastanza efficace (...)
Per rimanere nel solo campo dell’antimafia, cosa poteva fare la magistratura di fronte alla cassaforte vuota del generale Dalla Chiesa, ai computer ripuliti e alle agende scomparse di Falcone, al covo non perquisito di Totò Riina, alla borsa vuota di Borsellino, ai tanti misteri coperti da deviazioni? (...)
Chiudo dicendo che non sono pessimista e questa manifestazione me lo conferma, sempre che continui una prassi di seria analisi della realtà, una continuità nella educazione dei giovani, una continuazione nell’opera di denuncia e di contrasto, ricordando sempre, fuori di retorica, l’esempio che ci hanno lasciato Falcone e Borsellino e i tanti altri che sono caduti per una società sempre più giusta, libera dall’oppressione delle mafie.
Giuseppe Di Lello
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