Abruzzo terra di centenari, ecco i segreti
Indagine dell’ateneo per studiare il fenomeno della longevità: in 503 hanno superato il secolo di vita nella nostra regione
TERAMO. In Abruzzo ci sono ben 503 centenari, concentrati principalmente nelle zone interne e in particolare in quattro aree contigue ai Parchi del Gran Sasso e della Majella e alla zona della Marsica. Un dato, quello delle frequenze di longevità in Abruzzo, comparabile a quello della Sardegna, la cosiddetta “blue zone” italiana (un’area dove la speranza di vita è notevolmente più alta rispetto alla media mondiale), e che ha spinto l’università di Teramo a dare il via allo studio “CenTEnari”.
Un progetto coordinato dal professor Mauro Serafini, della facoltà di Bioscienze, e che si propone di studiare oltre alle caratteristiche metaboliche, immunitarie e genetiche dei nonagenari e centenari abruzzesi, anche le loro abitudini alimentari, con particolare riferimento alla pratica del cosiddetto "sdijuno", che nel dialetto abruzzese significa rompere il digiuno della notte: il primo pasto abbondante e consistente della giornata, preceduto da una colazione minima fatta molto presto e seguito da una cena particolarmente frugale. Un’abitudine alimentare che garantiva all’organismo un periodo di digiuno di circa 14-16 ore e che sarebbe in linea con le più recenti evidenze scientifiche, che confermano l’importanza di concentrare i pasti della giornata, limitando l’apporto calorico la sera.
A illustrare obiettivi, finalità e metolodogie operative dello studio, che parte dalla convinzione che gli anziani abruzzesi e le loro abitudini alimentari rappresentino un patrimonio scientifico, culturale e antropologico da tramandare alle nuove generazioni, sono stati ieri mattina il rettore Dino Mastrocola e lo stesso professor Serafini. «Si tratta di una ricerca ancora in fase preliminare, ma che ha già dimostrato come le aree interne dell’Abruzzo siano delle vere e proprie "blue zone», ha sottolineato Mastrocola, «Adesso dobbiamo verificare quali sono i fattori che portano a questo risultato. Ovviamente abbiamo già delle ipotesi, come in tutte le ricerche, che dovranno essere dimostrate con dati oggettivi». A parte la prima fase, che sarà a costo zero, la ricerca avrà bisogno però di finanziamenti. Da qui l’appello del rettore alle istituzioni e anche ai privati . «Abbiamo bisogno di partner, di enti, di organizzazioni», ha detto Mastrocola, «in altre parole di un impegno per portare avanti una ricerca che potrebbe avere una ricaduta non indifferente sull’intera economia regionale e soprattutto sul rilancio delle aree interne».
Nel mondo le blue zone sono cinque: la Sardegna, l'isola di Ikaria in Grecia, Okinawa in Giappone, il villaggio di Loma Linda in California e Nicoya in Costa Rica. Il valore aggiunto della realtà abruzzese, rispetto a queste ultime, sarebbe quello di poter offrire, se saranno confermate le ipotesi legate alle abitudini alimentari, delle linee guida e un modello alimentare esportabile ovunque. «Sono due anni che sono qui e parlando con gli studenti, e non solo, mi sono reso conto che ognuno aveva un parente o conosceva qualcuno ultranovantenne o centenario», ha spiegato Serafini, «e così iniziando a mappare le frequenze di longevità nelle varie province abruzzesi, abbiamo verificato come queste ultime siano comparabili a quelle della Sardegna, il nostro punto italiano di riferimento di longevità». Da qui la decisione di uno studio focalizzato sulle caratteristiche metaboliche e le abitudini alimentari di questi anziani, con particolare riferimento alla pratica dello sdijuno. «Si tratta di una pratica perfettamente in linea con le più recenti scoperte scientifiche», ha chiarito Serafini, «che ci dicono che se riusciamo a contenere l’apporto calorico la sera, in linea con i ritmi circadiani, quando il nostro metabolismo rallenta, e abbiamo un periodo di circa 8-10 ore a bassissimo apporto calorico il nostro metabolismo migliora e non entriamo in quello che viene definito stress post prandiale, cioè lo stress infiammatorio indotto dagli alimenti. Speriamo di poter ottenere dalla lezione dei centenari abruzzesi delle linee guide che possano essere traslate alla popolazione attuale». La prima fase dello studio, come spiegato da Serafini, riguarderà il contatto con centenari ed ultracentenari. «Dobbiamo mapparli, capire chi sono, contattarli e vedere se sono disponibili ad aderire allo studio, che dovrà ovviamente essere sottoposto al comitato etico», ha continuato, «Successivamente, una volta creata una corte di anziani e messe a punto metodiche e questionari, passeremo alla fase operativa». Fase operativa che da un lato vedrà lo studio delle abitudini alimentari degli anziani interessati, la “quantificazione” e lo studio dello sdjiuno, l’analisi dei metodi cottura degli alimenti, verificando se nonagenari e centenari seguono ancora oggi lo stesso regime alimentare, e dall’altro lato l’analisi degli aspetti metabolici, immunitari e genetici con la creazione di una “biobank”. «Un altro obiettivo che esula da questo progetto, una volta capite le dinamiche dello sdijuno», ha concluso Serafini, «è quello di portare avanti uno studio di intervento su un gruppo di persone non centenarie ma con fattori di rischio cardiovascolare per vedere se questa pratica può ridurre questi stessi fattori di rischio».
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Un progetto coordinato dal professor Mauro Serafini, della facoltà di Bioscienze, e che si propone di studiare oltre alle caratteristiche metaboliche, immunitarie e genetiche dei nonagenari e centenari abruzzesi, anche le loro abitudini alimentari, con particolare riferimento alla pratica del cosiddetto "sdijuno", che nel dialetto abruzzese significa rompere il digiuno della notte: il primo pasto abbondante e consistente della giornata, preceduto da una colazione minima fatta molto presto e seguito da una cena particolarmente frugale. Un’abitudine alimentare che garantiva all’organismo un periodo di digiuno di circa 14-16 ore e che sarebbe in linea con le più recenti evidenze scientifiche, che confermano l’importanza di concentrare i pasti della giornata, limitando l’apporto calorico la sera.
A illustrare obiettivi, finalità e metolodogie operative dello studio, che parte dalla convinzione che gli anziani abruzzesi e le loro abitudini alimentari rappresentino un patrimonio scientifico, culturale e antropologico da tramandare alle nuove generazioni, sono stati ieri mattina il rettore Dino Mastrocola e lo stesso professor Serafini. «Si tratta di una ricerca ancora in fase preliminare, ma che ha già dimostrato come le aree interne dell’Abruzzo siano delle vere e proprie "blue zone», ha sottolineato Mastrocola, «Adesso dobbiamo verificare quali sono i fattori che portano a questo risultato. Ovviamente abbiamo già delle ipotesi, come in tutte le ricerche, che dovranno essere dimostrate con dati oggettivi». A parte la prima fase, che sarà a costo zero, la ricerca avrà bisogno però di finanziamenti. Da qui l’appello del rettore alle istituzioni e anche ai privati . «Abbiamo bisogno di partner, di enti, di organizzazioni», ha detto Mastrocola, «in altre parole di un impegno per portare avanti una ricerca che potrebbe avere una ricaduta non indifferente sull’intera economia regionale e soprattutto sul rilancio delle aree interne».
Nel mondo le blue zone sono cinque: la Sardegna, l'isola di Ikaria in Grecia, Okinawa in Giappone, il villaggio di Loma Linda in California e Nicoya in Costa Rica. Il valore aggiunto della realtà abruzzese, rispetto a queste ultime, sarebbe quello di poter offrire, se saranno confermate le ipotesi legate alle abitudini alimentari, delle linee guida e un modello alimentare esportabile ovunque. «Sono due anni che sono qui e parlando con gli studenti, e non solo, mi sono reso conto che ognuno aveva un parente o conosceva qualcuno ultranovantenne o centenario», ha spiegato Serafini, «e così iniziando a mappare le frequenze di longevità nelle varie province abruzzesi, abbiamo verificato come queste ultime siano comparabili a quelle della Sardegna, il nostro punto italiano di riferimento di longevità». Da qui la decisione di uno studio focalizzato sulle caratteristiche metaboliche e le abitudini alimentari di questi anziani, con particolare riferimento alla pratica dello sdijuno. «Si tratta di una pratica perfettamente in linea con le più recenti scoperte scientifiche», ha chiarito Serafini, «che ci dicono che se riusciamo a contenere l’apporto calorico la sera, in linea con i ritmi circadiani, quando il nostro metabolismo rallenta, e abbiamo un periodo di circa 8-10 ore a bassissimo apporto calorico il nostro metabolismo migliora e non entriamo in quello che viene definito stress post prandiale, cioè lo stress infiammatorio indotto dagli alimenti. Speriamo di poter ottenere dalla lezione dei centenari abruzzesi delle linee guide che possano essere traslate alla popolazione attuale». La prima fase dello studio, come spiegato da Serafini, riguarderà il contatto con centenari ed ultracentenari. «Dobbiamo mapparli, capire chi sono, contattarli e vedere se sono disponibili ad aderire allo studio, che dovrà ovviamente essere sottoposto al comitato etico», ha continuato, «Successivamente, una volta creata una corte di anziani e messe a punto metodiche e questionari, passeremo alla fase operativa». Fase operativa che da un lato vedrà lo studio delle abitudini alimentari degli anziani interessati, la “quantificazione” e lo studio dello sdjiuno, l’analisi dei metodi cottura degli alimenti, verificando se nonagenari e centenari seguono ancora oggi lo stesso regime alimentare, e dall’altro lato l’analisi degli aspetti metabolici, immunitari e genetici con la creazione di una “biobank”. «Un altro obiettivo che esula da questo progetto, una volta capite le dinamiche dello sdijuno», ha concluso Serafini, «è quello di portare avanti uno studio di intervento su un gruppo di persone non centenarie ma con fattori di rischio cardiovascolare per vedere se questa pratica può ridurre questi stessi fattori di rischio».
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